Com'era davvero Freddie Mercury: la storia di chi era presente. L’ex roadie Peter Hince vuota il sacco in un libro-verità… di Paul Elliott per www.teamrock.com del 13 novembre 2015 Traduzione di Barbara Mucci per Comunità Queeniana Italiana |
Hince racconta della sua carriera con la band nel libro “Queen Unseen”, il quale offre un scorcio della vita del frontman e degli anni in cui i Queen divennero una delle più grandi band al mondo.
Qui, Hince parla con Team Rock di Mercury: l’uomo dietro il mito.
Vuota il sacco anche sugli altri membri dei Queen – Deacon, il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor. E racconta la verità circa QUEL leggendario party dei Queen…
Paul Elliott ─ Conoscevi bene Freddie Mercury. Com’era davvero come persona?
Peter Hince ─ La gente parla di Freddie e del suo ego, ma il suo ego non era così grande come la gente crede. Faceva tutto parte del suo essere. Era autoironico, mentre gli altri membri della band non riuscivano ad esserlo nello stesso modo. Potevi sempre farti una risata con Freddie, ma sapevi bene dove era il limite. Non era necessariamente quella prima donna che tutti pensano che fosse.
Freddie era davvero la più grande rock star della sua generazione?
Come frontman era imbattibile. Non era solo una questione di voce, ma il modo in cui possedeva il palco. Ho amato gli Zeppelin e gli Who – Plant e Daltrey erano grandi frontmen – ma credo che Freddie avesse qualcosa in più in termini di presenza scenica e capacità di intrattenere. Per lui era tutta una questione di intrattenere il pubblico, giocare con il pubblico e portarlo dalla sua parte. E dava tutto, in ogni show.
Aveva la stesso modo di essere sia sul palco che lontano da esso?
Oh, certo! Fred era unico. Ho lavorato anche con Bowie, ma nessuno aveva la stessa aura che emanava Fred. Forse Mick Jagger, fino ad un certo punto. Ma con Fred c’era sempre un qualcosa intorno a lui, fin dai primi tempi. Lui aveva quell’aura speciale. Non era distacco… Ma sentivi che era una persona speciale.
Per tutto il carisma che aveva Freddie, percepivi che sotto sotto fosse un tipo insicuro?
Oh, completamente. Sempre. Aveva un sacco di insicurezze – non professionalmente, ma personalmente.
Quando hai incontrato per la prima volta Freddie e gli altri membri dei Queen?
Nel 1973. Lavoravo per i Mott The Hoople, e i Queen erano la loro band di supporto in un tour in Gran Bretagna. Il primo album dei Queen era appena uscito.
Sì. Ero il roadie di Mick Ronson durante il tour di Ziggy Stardust. Dopo lo show all’Hammersmith ed il “ritiro” di David, ho lavorato per i Mott. Dopo che i Mott hanno concluso il tour nel ’75, avevo bisogno di un lavoro, e fortunatamente l’ho trovato con i Queen.
Ed hai assistito direttamente alla loro ascesa nell’Olimpo delle celebrità…
I Queen volevano diventare la più grande band del mondo. Non fecero segreto di questo. E sì, ho visto accadere tutto questo. Negli anni ’70 erano una fantastica rock band, e negli anni ’80 divennero una fantastica pop band.
Sei stato testimone anche della registrazione di molti album dei Queen, diventati dei classici.
Ero lì quando Bohemian Rhapsody venne registrata. Ricordo solo che non sapevo assolutamente di cosa diavolo parlasse! Ed ero con Freddie quando scrisse Crazy Little Thing Called Love. Quello fu davvero un momento speciale.
E lo è – assolutamente priva di senso. I nani c’erano, ma erano nascosti sotto vassoi di fegato ed altri tipi di carne.
John Deacon era quello tranquillo dei Queen. In un certo senso, lui è il grande enigma della band…
John è praticamente un recluso, adesso. Vuole che la sua vita rimanga privata, e penso che la gente debba rispettarlo. John è sempre stato uno con i piedi per terra, un tipo regolare. Ha avuto sei figli, ed era molto preso dalla sua famiglia, ma gli è anche capitato di ritrovarsi in una delle più grandi band al mondo.
Come descriveresti Brian May?
Brian è una delle persone più complesse con cui potresti avere a che fare. Ha un grande cuore e vuole essere simpatico e gentile con tutti. Ma come tante persone, anche lui presenta un altro lato della medaglia. Può essere anche abbastanza crudele.
E Roger Taylor?
Roger amava la vita da rockstar – tutto macchine e case di campagna. Sicuramente si godeva i suoi soldi, come Fred, mentre Brian e John ─ essendo degli uomini di famiglia più tradizionali ─ mettevano da parte qualcosa. Ma Rog lo adorava. A volte poteva essere un po’ troppo rockstar, ma credo che si sia ammorbidito un po’ negli ultimi anni. È diventato più riflessivo.
Freddie è sempre stato un gay nascosto, seppur in piena vista. È stato difficile per lui durante i meno tolleranti anni ’70 e ’80?
Sì, molto. Ovviamente, dopo The Game del 1980, dimostrandosi più apertamente gay con i baffi, penso che le cose divennero un po’ più difficili per lui.
Il Live Aid, nel 1985, fu un momento importante per la carriera dei Queen. Cosa ricordi di più di quel giorno?
Beh, all’inizio non avevano intenzione di partecipare. C’erano problemi seri all’interno della band in quel periodo. Penso che volessero sciogliersi, perché The Works (l’album del 1984) non ebbe alcun successo in America; non vi fecero tour. E Fred era impegnato nei suoi progetti solisti. Quindi il Live Aid li ha galvanizzati. Fu uno spartiacque per la band. Conquistarono il pubblico al momento giusto e con le canzoni giuste. Forse si sentivano di dover dimostrare qualcosa. Quando terminarono, ti sentivi – e loro si sentivano – come se avessero rubato lo show. Poco dopo Elton disse loro “Stronzi!”.
La parte migliore erano i viaggi, le esperienze, e quella specie di luce riflessa che hai quando lavori per una grande band. La parte peggiore è quando non ti senti apprezzato, ti senti usato e abusato, quando è un’orribile, sporca e sudicia esistenza – caricare camion, non dormire per due giorni di fila… Ma è tutto parte del lavoro. E alla fin fine era un lavoro.
Quando hai finalmente smesso, nel 1986, hai mai avuto delle notti insonni circa la tua decisione?
Non proprio. Un giorno ti scatta semplicemente qualcosa. Ero arrivato al punto che mi stavo rompendo le palle, non mi sentivo apprezzato, e non c’era modo di avanzare di carriera. Non volevo lavorare per un’altra band. Sentivo di non essere più al massimo della forma. E sentivo anche che non avrei resistito ancora a lungo. Lo si capisce da solo. Non ho rimpianti.
Roger dice che gli piace il tuo libro. Questa cosa ti sorprende?
Certo. Roger non è uno che fa molti complimenti. Sa essere molto distaccato. Quindi questo è molto bello da parte sua. Penso che prenda le cose in modo più rilassato ultimamente.
Cosa ne pensi del fatto che Roger e Brian vadano avanti come Queen, senza Freddie e John?
Beh, quando Freddie è morto, il pensiero di John era “Questo è tutto, i Queen non esistono più”. Brian e Roger volevano andare avanti in tutte le varie forme con i Queen, e capisco perché vogliano farlo. Non sono sicuro che sia la cosa giusta da fare. Possono continuare ad essere dei musicisti senza usare il nome dei Queen. Ma è un business – e la gente vuole tenere il fuoco acceso il più a lungo possibile.
Molti fan dei Queen sarebbero d’accordo con te: niente Freddie, niente Queen.
Questa è la cosa più commovente. Dopo la morte di Freddie, non potrai mai ricreare la magia, non importa che sembianze gli dai. Ho visto i Queen+ Paul Rodgers, e lui è uno dei miei cantanti preferiti, ma era l’assortimento sbagliato. E come per Adam Lambert, del quale sono sicuro che sia bravo a cantare, ma in un certo senso è più da cabaret a Las Vegas. Sai, se non hai mai visto la band, beh…, comunque in questo c’è metà della band. Ma non fa per me.