da Classic Rock n.285 di marzo 2021 - 2 febbraio 2021
Traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana
Una delle cose più affascinanti del nastro per May è la performance di Freddie Mercury. Il cantante era ancora ai lavori in corso a quel punto, ben lontano da quella potenza vocale che sarebbe diventato. "Freddie aveva tutta la volontà, il carisma e la passione, ma non sapeva ancora sfruttare la sua voce", dice May. "Il che mi fa esitare un po', perché non sono sicuro che Freddie sarebbe tanto felice di riascoltarsi in questa fase". Fa una pausa per un secondo, poi ci ripensa. "Ma - strano a dirsi - se fosse vivo e seduto qui in questo momento, probabilmente la penserebbe come me e direbbe: 'Oh tesoro, ma eravamo proprio dei bambini!'".
Oggi di quei quattro ragazzi su quel nastro ne sono rimasti solo due. Mercury è morto nel 1991, mentre il bassista John Deacon si è ritirato dalla band e dalla vita pubblica alla fine degli anni 90. Rimangono solo May e Taylor, il cuore pulsante dell'attuale incarnazione della band ora con Adam Lambert in veste di frontman, custodi della stellare eredità artistica dei Queen.
"Provo una grande gioia nel fatto che ci sia ancora tutto questo amore nei nostri confronti", dice Taylor. "Mi sorprende sempre questa cosa".
Il 2020 doveva essere un grande anno per i Queen. Non solo avevano in programma una serie di grandiosi spettacoli nelle arene di tutta Europa durante l'estate, ma si marcava anche il 50° anniversario della band.
Eppure, anche prima che la pandemia frenasse il tour, May e Taylor non avevano assolutamente intenzione di celebrare l'anniversario.
"Tutti gli altri possono festeggiarlo se vogliono", dice amabilmente May. "Noi preferiamo semplicemente festeggiare il fatto di essere qui ed essere vivi e vegeti".
Taylor la mette in modo più schietto: "Non volevamo attirare l'attenzione su quanto cazzo siamo vecchi!".
Che gli piaccia o no, 50 anni sono una pietra miliare. Loro due potrebbero non gioire fino in fondo di questo giubileo d'oro, ma per tutti gli altri mezzo secolo di una delle band più esageratamente geniali di tutte è qualcosa che vale sicuramente la pena celebrare.
Mancano pochi giorni a Natale, e Taylor è a casa nel Surrey. Anche all'altro capo di una chiamata con Zoom è avvolto da una marcata aura da rockstar. È sempre sembrato essere il membro dei Queen più a suo agio in quei panni. E oggi, con la barba bianca e abbondante, non ha perso un granello di tutto questo.
"È stato un lavoro duro, ma ho cercato di divertirmi più che ho potuto in ogni situazione", dice del suo percordo di oltre 50 anni con la band. "Hai solo una vita da vivere, quindi penso che debba essere goduta appieno. E io me la sono goduta".
Pensi mai a cose del tipo 'Cinquant'anni! Come diavolo è possibile?'.
"È assurdo, vero? Dopo che abbiamo perso Freddie, Brian ed io abbiamo pensato: 'Bene, questo è quanto... è la fine'. Ma poi gli eventi si sono combinati per far sì che tutto continuasse. Ogni volta che pensiamo che la band sia finita, che sia tutto finito e che sia stato meraviglioso, arriva qualcos'altro. Non è uno sforzo consapevole. Qualcuno mi ha detto l'altro giorno che il video di I Want To Break Free ha appena raggiunto la cinquecentomilionesima visualizzazione su YouTube. E non è nemmeno il più famoso!".
Cinquecento milioni di visualizzazioni su YouTube ti danno lo stesso brivido che ti dava un disco d'oro ai vecchi tempi?
"Quella era un'altra epoca. Ora non è più lo stesso. Non capisco nemmeno più il senso delle classifiche. Qual è il numero uno nella classifica dei singoli? Beh, non gliene frega niente a nessuno, vero? La classifica degli album sembra avere ancora una qualche importanza. Recentemente abbiamo avuto un album al numero uno [Live Around The World, NdR] per la prima volta dopo molto tempo. È stata una grande emozione. Ci ha rallegrati".
Hai incontrato Brian May all'Imperial College di Londra nel 1968. Stavate escogitando la conquista del mondo fin dall'inizio, o si trattava più di avere la possibilità di fare concerti e incontrare ragazze?
"Beh, quelle erano buone alternative. Ma volevamo davvero avere un enorme successo. Era una delle manifestazioni della nostra smisurata vanità in quel periodo. Ma quando sei giovane è meglio essere arroganti e avere grandi ambizioni, perché altrimenti nulla arriva per caso".
Ci sono delle belle foto sul tuo Instagram di te e Freddie alla bancarella che entrambi gestivate al Kensington Market, un della notte di Capodanno del 1969. Dove l'hai incontrato per la prima volta?
"Nel mio appartamento a Shepherd's Bush. Era un amico di Tim [Staffell, cantante della band pre-Queen di May e Taylor chiamata Smile, NdR] all'Ealing College. Diventammo amici. Aveva aspirazioni musicali, ma noi eravamo abbastanza bravi a suonare e non eravamo sicuri che lui invece sapesse cantare. Ma la sua spinta e la sua determinazione a scrivere materiale originale era immensa. E naturalmente siamo diventati grandi amici perché avevamo la bancarella in gestione. Vivevamo a scrocco e ci dividevamo quello che c'era da mangiare".
Com'era una serata tipo di Roger Taylor e Freddie Mercury all'epoca? Frequentavate i club alla moda?
"Oh no, non potevamo permetterci cose del genere. Andavamo in un pub, e poi probabilmente incontravamo delle ragazze e cercavamo di farci offrire da bere da loro".
Il primo concerto dei Queen si è tenuto il 27 giugno 1970, nella tua città natale, Truro. Cosa ricordi di quel giorno?
"Fu mia madre ad organizzare il concerto, parte di un evento in beneficenza per la Croce Rossa. La gente non apprezzava del tutto Freddie in quelle nostre prime uscite, il che pensandoci adesso era davvero scandaloso".
È vero che i Genesis agli inizi hanno cercato di strapparti ai Queen?
"Beh, mi hanno invitato in studio per ascoltarli, poi siamo andati in un pub. Non mi hanno detto: 'Vuoi unirti al gruppo?'. Ma ho l'impressione che fosse quello che volevano, perché il loro batterista se n'era andato. Sono tutte persone adorabili, ma non ho mai apprezzato fino in fondo la loro musica, ad essere onesto. Era un po' troppo prog per i miei gusti. Invece ricevetti una meravigliosa proposta da Mick Ronson e Ian Hunter, in realtà. Dovevamo chiamarci Hunter Ronson Taylor. Penso che sarebbe stato bello".
Quando ascolti i primi due o tre album dei Queen, cosa pensi?
"Abbiamo fatto la gavetta per molto tempo. Il primo album era una combinazione di molte idee che avevamo, ma non è riuscito come volevamo davvero. Abbiamo avuto molta più libertà sul secondo album, iniziando a fare altre esperienze ed a sperimentare. Quando abbiamo realizzato il terzo disco [Sheer Heart Attack del 1974, NdR] ci siamo riusciti fino in fondo".
Molte persone considerano A Night At The Opera il miglior album dei Queen. Sei d'accordo?
"Per niente. Penso che sia il nostro album più eclettico. Penso che sia un grande album, ma ne preferisco molti altri".
Sei stato fortunato a lavorare con i Queen insieme ad altri tre grandi cantautori. Eri invidioso quando uno degli altri ha avuto più successo di te?
"Assolutamente no. Ricordo che quando Freddie ha scritto We Are The Champions, ho detto: 'Quel ritornello è micidiale!'. Ero molto orgoglioso se qualcuno se ne usciva con una grande canzone. Un singolo al numero uno apparteneva a tutti noi".
La tua canzone Sheer Heart Attack, dall'album News Of The World del 1977, è stata notoriamente vista come una risposta al punk. Ma hai iniziato a scriverla nel 1974.
"Era quasi finita, ma non sono mai riuscito a metterla insieme per l'album Sheer Heart Attack. È sempre stata concepita per essere aggressivamente punk, anche se non ce lo aspettavamo fino a quel punto".
Parlando di punk, la storia di Freddie Mercury che incontra Sid Vicious mentre eravate entrambi al Wessex Studios è stata raccontata un milione di volte. E io l'ho sentita un milione di volte, ogni volta leggermente diversa. Com'erano davvero i Pistols?
"Andavamo molto d'accordo con loro. A parte Sid. Lui era uno stupido. John [Lydon, NdR] era molto intelligente. Era piuttosto aggressivo alla vista, ma andavamo abbastanza d'accordo. Ricordo di aver socializzato con lui a New York qualche anno più tardi".
Per caso eravate al 100 Club a guardare gruppi come i The Damned e i The Clash?
"Sono andato ad alcuni concerti punk. Ho visto i Damned al Royal College Of Art, ed erano piuttosto forti. Ho pensato che Captain Sensible fosse fantastico - questo ragazzo grande e grosso vestito con un tutù rosa... Ma non potevo sopportare i punk. Erano patetici".
Sembrava che ti piacesse molto più essere una rock star. Di voi quattro, eri quello che probabilmente più veniva fotografato mentre usciva da qualche club sciccoso, tipo Annabelle's, ad esempio.
"Non mi è mai piaciuto Annabelle's. Era pieno di vecchi politici che palpeggiavano giovani ragazze. Non ho mai visto nulla di cui vergognarsi [nell'essere una rock star, NdR], perchè in effetti era ciò che eravamo, ed era ciò che ero".
Sei stato il primo membro dei Queen a pubblicare un album da solista. Se avesse avuto successo, saresti andato per conto tuo dicendo: 'Bene, ragazzi, me ne vado'?
"No, no, no. Mai. Chiamavamo la nostra band "la nave madre". Qualsiasi cosa facessimo, tornavamo sempre su di essa. Era il nostro gruppo. Non ho mai voluto essere un artista solista. Volevo fare parte di una band".
La prima metà degli anni Ottanta è stato un periodo di alti e bassi per i Queen. The Game e Greatest Hits sono stati grandi successi, ma poi avete pubblicato Hot Space e l'America vi ha praticamente voltato le spalle. Infine, poi, il Live Aid vi ha riportato in vetta.
"È stato un periodo stranissimo. Hot Space non è proprio il mio album preferito. Avevamo le drum machine e quello stupido campionatore - che era il 'tavolino' più costoso del mondo. Posso capire che la gente a cui piaceva la nostra roba precedente non abbia apprezzato particolarmente quell'album. C'è del buon materiale, comunque. Anche se non riesco neppure io a ricordare cosa... No, c'è Put Out The Fire. Quella era davvero bella. E poi Under Pressure. Raramente ci siamo seduti a scrivere canzoni insieme come band, ma Under Pressure ha rappresentato una delle poche eccezioni. Stavamo suonando cover dei Cream per divertimento, e David [Bowie, NdR] si è seduto al piano e ha iniziato a suonare 'plink - plink - plink'. Perciò ci siamo detti: 'Facciamo una canzone tutta nostra'. Il grosso del lavoro è stato fatto in una notte frenetica lì a Montreux. Ma in realtà, David ed io abbiamo finito la maggior parte del resto a New York, al Power Station. Fred arrivò molto tardi. Brian non è mai arrivato. E nemmeno John si fece vedere".
Andavate d'accordo con Bowie o eravate solo persone che casualmente facevano lo stesso lavoro?
"Siamo andati subito d'accordo. Era un uomo molto affascinante. Divertentissimo, esageratamente spiritoso e di grande compagnia".
A chi eri più legato nei Queen?
"Probabilmente a Freddie. Ma eravamo tutti abbastanza uniti. Dovevamo esserlo per forza per stare insieme".
Da batterista, avevi il miglior posto in sala ad ogni concerto dei Queen. Com'era da lassù quando la band si esibiva?
"Era fantastico. Quando eravamo in forma diventavamo una macchina da guerra. Poi quando Freddie era in forma diventava magnifico. Ma devo dire che io e Brian suoniamo ancora bene come abbiamo sempre fatto, tecnicamente. Forse senza il fuoco e la cattiveria dei bei tempi, ma facciamo ancora un gran chiasso".
Avevi qualche sentore che lo show di Knebworth nel 1986 sarebbe stato l'ultimo concerto dei Queen?
"Quel tour è stato un vero trionfo. Stadi esauriti, due volte a Wembley, poi Knebworth con una folla enorme. Ma sapevamo che Freddie non stava andando verso il massimo della sua forma fisica".
Come ti sei sentito dopo che Freddie ti ha detto della sua diagnosi?
"Con addosso una enorme difficoltà. Sapevamo già da un po' che era malato. Era in pessime condizioni".
Ma sembra che in ogni caso ci siano stati momenti di vera gioia in quegli ultimi anni trascorsi con lui?
"Durante The Miracle e Innuendo, Fred non era più quello di una volta. Voleva solo continuare a lavorare. Il che ci ha davvero uniti. Ci siamo stretti intorno a lui e in un certo senso lo abbiamo protetto. La sua morte non è stata semplice da superare all'inizio. Io e Brian abbiamo impiegato cinque anni per elaborarla. Eravamo persi. Gli anni Novanta, per me, sono stati un decennio quasi completamente bucato".
Ci fu un'enorme manifestazione d'amore in occasione del Freddie Mercury Tribute Concert allo stadio di Wembley.
"Ricordo di aver letto alcune recensioni molto mediocri su The Sun o su qualche giornaletto frivolo come quello. Non so, ero in questo vortice di situazioni, mi sembrava di essere in una specie di sogno. Ricordo che ero determinato a far cantare Elton con Axl, il che sarebbe stato un miracolo, perché Axl non si è mai presentato alle prove. David si è presentato, Robert Plant è stato adorabile. George Michael, magnifico".
Circolarono voci che George Michael avrebbe sostituito Freddie come nuovo cantante dei Queen. C'era qualcosa di vero?
"No, per niente. Ricordo di aver sentito quelle voci. Ma non avrebbe funzionato. George non era abituato a lavorare con una band dal vivo. Quando ha sentito la potenza che aveva dietro di sé durante le prove non poteva crederci. Pensava di essere sulla carlinga di un Concorde o qualcosa del genere".
Parli ancora con Freddie a volte?
"Non penso che lui sia qui, nel mio studio, ora ad ascoltarmi. Ma quando io e Brian siamo entrambi in sala pensiamo di sapere cosa avrebbe detto Fred se fosse stato ad osservarci nell'angolo".
I Queen esisterebbero ancora se Freddie fosse vivo?
"Non posso darti una risposta definitiva, ovviamente, ma credo che sarebbero ancora insieme in qualche modo. Non credo che Freddie avrebbe voluto continuare così a lungo facendo le stesse cose. Non credo che ci saremmo più esibiti dal vivo. Penso che probabilmente avremmo ancora fatto musica, perché è quello che ci riusciva meglio. E poi Freddie era ossessionato dalla musica".
È vero che ti sei appropriato della statua di Freddie che stava fuori dal Dominion Theatre di Londra dopo che il musical We Will Rock You ha finalmente terminato il suo programma?
"Sì, assolutamente. Si può vedere da dove mi trovo in questo momento. Era in un magazzino, costava soldi per mantenerla, così ho mi sono detto 'Perché non la mettono su un autotreno, la portano qui e la mettiamo in giardino?'".
Ed è vero che Brian non fu contento che tu l'avessi fatto?
"Credo che fosse incazzato perché non ci aveva pensato lui per primo".
È giusto dire che tu e Brian eravate la fonte di molti dei battibecchi nei Queen?
"È assolutamente vero".
Cosa vi faceva litigare?
"Cambi di tonalità, arrangiamenti, 'Perché fai così? Non riesco a sentire la voce'. Freddie invece era una gioia. Eppure eccoci qui, più di cinquant'anni dopo".
Voi due oggi siete i Queen e sembrate più uniti che mai.
"Abbiamo avuto un lungo rapporto fatto di alti e bassi. Ma siamo come fratelli da madri diverse".
Devi esserti preoccupato per lui quest'anno, per via dei suoi problemi di salute?
"Sì. Ha avuto un periodo terribile, una cosa dopo l'altra. Ma penso che ora sia davvero in via di guarigione. Sta dedicando tutta la sua vita - beh, a parte salvare le formiche o qualsiasi cosa stia facendo questa settimana - ad rimettersi in forma e a stare bene. E spero che ci riesca fino in fondo".
I tour che avete fatto con Adam Lambert hanno avuto un enorme successo. Ma ci sono molte persone che vorrebbero sentire nuovo materiale dalla band.
"Abbiamo registrato una canzone, che non abbiamo ancora ultimato. È molto bella... Non riesco a ricordare come si chiama. Credo che stessimo ancora discutendo su come chiamarla".
Vuoi registrare un nuovo album dei Queen?
"Sarebbe bello fare qualcosa. Non lo escluderei. Adam ha detto: 'Se gli altri due decidono di fare qualcosa, io ci sarei'".
"Mai un momento di noia", dice ironicamente. Per fortuna sta tornando in piena forma. "È stata una lunga scalata. Non ci sono ancora del tutto, ma sto abbastanza bene".
May è sempre stato un elemento di calma e razionalità in mezzo a quel vortice che sono i Queen, anche se può essere protettivo fino all'estremo nel difendere la sua band dai detrattori. Oggi, parlando via Zoom da una stanza illuminata dal sole nel suo studio, l'uomo che Roger Taylor descrive come "una persona intrinsecamente perbene" è accogliente e coinvolgente, anche se condivide l'ostinata avversione del suo compagno di band ad issare la bandiera delle celebrazioni per il mezzo secolo dei Queen.
Anche già prima della pandemia e dei tuoi problemi di salute, sia tu che Roger avete evitato qualsiasi grande celebrazione per il cinquantesimo anniversario dei Queen. Perché?
"Abbiamo valutato varie idee con il nostro team per festeggiare i cinquant'anni. Poi abbiamo pensato che avremmo preferito celebrare semplicemente il fatto di essere ancora qui, di essere vivi e poter suonare. Devi sapere che io e Roger siamo dei bisbetici di prima categoria. Se qualcuno ci organizza qualcosa, cominciamo a dire: 'Ma davvero dobbiamo fare questo? Ma per forza dobbiamo? Quanto tempo ci rimane e cosa vogliamo fare davvero nel tempo che ci resta da vivere e che ne valga davvero la pena?'. E la risposta è sempre suonare".
Roger dice che volevate essere una grande band fin dal momento in cui vi siete incontrati. È quello che ricordi anche tu?
"Sì. Avevamo grandi, grandissime ambizioni. Volevamo ottenere il massimo e sentivamo di avere ciò che serviva. È divertente perché se fossimo stati solo io e Roger a volerlo, non saremmo mai rimasti insieme. Anche se siamo così ben allineati sotto alcuni aspetti, siamo diametralmente opposti per tutto il resto. Non c'è un solo argomento su cui non abbiamo opinioni opposte. Avevamo bisogno di qualcuno che fosse il diplomatico della situazione. E, fortunatamente, Freddie era 'quel qualcuno'. Tutti pensano che Freddie fosse un tipo volubile, ma era molto pragmatico. Se vedeva una possibile discussione che si stava prospettando tra me e Roger, riusciva a trovare subito una via d'uscita, un compromesso. Uno dei grandi slogan di Freddie era: 'Noi non scendiamo a compromessi'. Ma all'interno della band lo facevamo. Ed è per questo che siamo sopravvissuti così a lungo".
Cos'era che faceva scatenare le discussioni tra voi due?
"Oh, tutto e niente, una nota, un cambio di tempo, una tazza di caffè, una finestra aperta...".
Ma oggi sembrate molto affezionati l'uno all'altro. Cos'è cambiato?
"È molto simile all'essere fratelli. C'è sempre stato un certo affetto tra di noi, ma c'era molto spirito di competizione. In questi giorni ci rendiamo conto delle cose migliori, perché ormai abbiamo visto tutto l'uno dell'altro e ci stimiamo a vicenda. Sappiamo che siamo più forti insieme che separati. Se le nostre energie vanno nella stessa direzione, allora scatta la magia".
Come sono stati i primi giorni nei Queen? Era divertente o un gran lavoraccio?
"Era decisamente divertente. Portavamo tutte le nostre cose da soli ai concerti, le sistemavamo con il nostro roadie, il caro vecchio John Harris. Ci facevamo da soli i popcorn da servire prima dei concerti. Faceva tutto parte della preparazione dell'esibizione. E invitavamo manager e dirigenti di case discografiche. Naturalmente non si presentavano mai".
Avete mai suonato per un pubblico che non capiva davvero niente di ciò che stavate facendo?
"Spesso. C'è una storia famosa: suonavamo in un posto chiamato Ball's Park College ed eravamo stati ingaggiati per suonare alla loro festa. È un posto piccolissimo, da un paio di centinaia di ragazzi. Suonammo la prima parte delle nostre cose e ci guardavano pensando: 'Ma perché non suonano Stairway To Heaven o Paranoid?'. Nell'intervallo, la segretaria del comitato spettacoli entra per parlare con noi. Ci dice: 'Grazie, ragazzi. Molto, molto bene. Ho avuto una richiesta, però...'. E noi dicemmo: 'Ah sì, qual è la richiesta?'. 'Per la seconda parte possiamo passare alla discoteca invece di far suonare voi?'. E noi: 'Dateci i soldi... e a non rivederci!'".
All'inizio, i Genesis erano sulle tracce di Roger per farlo diventare il loro batterista. Qualcuno ha cercato di contattare anche te?
"Sì, gli Sparks mi hanno avvicinato. Fu dopo il loro grande successo, This Town Ain't Big Enough For The Both Of Us e noi avevamo appena fatto uscire il singolo Killer Queen. I due fratelli [Ron e Russell Mael, NdR] vennero nel mio appartamento e dissero: 'Senti, Brian, i Queen non andranno da nessuna parte, tu non vivrai altri successi, ma noi conquisteremo il mondo'. E io gli dissi: 'Graziedavvero , ma anche no... grazie. Penso di stare benissimo dove mi trovo adesso".
È giusto dire che non c'è mai stata mancanza di fiducia nei mezzi dei Queen?
"Esatto, non credo che sia mai successo. C'era una fiducia folle e una precoce confidenza nei nostri talenti unici e irripetibili".
Se si ascolta The March Of The Black Queen dall'album Queen II, si possono scorgere i semi di quella che sarebbe stata Bohemian Rhapsody. Si può affermare questa cosa?
"Assolutamente, sì. C'è tutta una serie di cose che risalgono a My Fairy King [dall'album di debutto dei Queen, NdR]. Freddie aveva tantissime piccole mini-opere nella sua testa fin dal principio. Le scriveva sulla carta da lettere di suo padre. La gente dice: 'Sarete rimasti di sasso quando qualcuno è arrivato con un pezzo come Bohemian Rhapsody!'. E invece no, perché erano cose che stava già cercando di realizzare fin dagli inizi".
Bohemian Rhapsody è giustamente considerata un classico. Ma ha messo in ombra la tua epopea operistica, The Prophet's Song, anch'essa su A Night At The Opera...
"Beh, stai toccando un nervo scoperto. Mi sarebbe piaciuto che The Prophet's Song avesse avuto una riuscita come quella di Bohemian Rhapsody, ma non è mai successo. La mia è stata una reazione diretta ad un sogno che ho fatto, un sogno molto realistico, dove potevo vedere questo strano tipo, un profeta, e sentivo quel riff nella mia testa. Fu durissima per me. Ricordo che ero al Rockfield [studios, NdR] e ascoltavo tutte le canzoni che Freddie stava tirando fuori con grande naturalezza, mentre io non mi sentivo per niente sicuro. Stavo lottando per dare forma a quei riff che giravano nella mia testa, e mi strappanvo i capelli perché quello che intendevo fare era fuori dalla mia portata. Ma avevo la netta sensazione che fosse qualcosa che dovevo fare a tutti i costi, per sbloccarmi. Penso di essere sempre stato un'anima tormentata, non ti pare?".
Fare parte dei Queen doveva essere un pesante fardello per te in certi momenti. Ti è piaciuto davvero sempre oppure hai avuto dei momenti di difficoltà?
"È stata dura, perché ero sempre in lotta per far passare la mia identità all'interno del gruppo. Se sei in una situazione e senti che la tua voce non viene ascoltata, è molto brutto. Ti spinge ad essere cattivo, dogmatico e diventare intransigente e risentito. Ci siamo sentiti tutti così in momenti diversi. So che Roger ha provato la stessa cosa, e anche John. Freddie... Non lo so. Freddie è sempre stato un bicchiere mezzo pieno. Una persona completamente positiva, convinta, decisa. Davvero. E poi tutti noi abbiamo lasciato la band in alcuni momenti, in varie sessioni di registrazione. Ricordo che eravamo a Monaco per registrare The Game, credo, e camminavo per il parco pensando: 'È finita. Non voglio più andare avanti'. Ma poi tornavo dentro e mi rimettevo a lavoro".
All'epoca i critici più sprezzanti davano del filo da torcere a tutte le band hard rock. Ma con i Queen sembravano prenderla più sul personale di altre band. Perché?
"C'erano un sacco di tipi di quel genere nella stampa musicale. Dicevano che eravamo spazzatura. Quindi sì, faceva male. Quello che ci ha fatto andare avanti è stato il restare uniti l'uno con l'altro. Sapevamo essere più vendicativi di quanto la stampa abbia mai potuto. Così ce l'abbiamo fatta, sostenendoci a vicenda, diventando un clan familiare fortissimo".
Molte delle critiche erano dirette a Freddie personalmente. La gente scriveva cose che oggi non si potrebbero vedere. C'era un elemento di omofobia?
"Questo è un pensiero interessante. Confesso di non averci mai pensato. La gente non sapeva che Freddie fosse gay. Neppure noi lo sapevamo. E all'inizio non credo che addirittura neppure Freddie lo sapesse. Ma lui era, a prima vista, una persona molto frivola, stravagante, che si godeva la vita. Naturalmente non era tutta verità. Era come un mantello che indossava per proteggersi. Ma penso che la gente si sia risentita per quell'atteggiamento. Pensavano che fosse arrogante".
A chi eri più legato nella band?
"A Freddie, credo".
L'immagine pubblica di Freddie Mercury era che fosse un tipo inavvicinabile.
"La sua immagine era quella, sì. Ma in realtà era una persona molto premurosa. Dava l'impressione di essere molto impertinente su tutto, ma ti sorprendeva sempre. Se litigavamo, tornava qualche giorno dopo e diceva: 'Ho pensato questa cosa...', e aveva qualche ulteriore dettaglio interessante su quello che si stava facendo prima della discussione. Era il più diplomatico tra tutti noi".
Una volta hai detto che essere nei Queen ti ha "fregato per sempre". Cosa intendevi?
"Non è stata una vita facile. Sembrerò una pop star viziata, ma ho avuto il mio stress. Ti esponi al pubblico, rischio di diventare lo zimbello nel caso qualcosa non vada per il meglio, combatti su vari fronti con il resto della band o con l'organizzazione intorno a te, e non c'era mai tempo per riposare. Vieni spazzato via, non vedi più i tuoi amici di scuola, la tua famiglia. Resti da solo in una stanza d'albergo dall'altra parte del mondo. Vivi come sotto una campana. E non è facile adattarsi. Una volta che ti ci abitui, e quando finamente ci riesci non puoi più tornare indietro. Ti incasina completamente la vita".
Il rovescio della medaglia di tutto questo deve essere il tempo che hai potuto passare a suonare in giro per il mondo. Cosa si provava a stare sul palco quando i Queen erano nel piena della loro attività?
"È praticamente la più bella sensazione del mondo. Come musicista sogni queste cose. Ma la realtà è mille volte meglio dell'immaginazione. Quella sensazione di poter suonare determinate cose o entrare in connessione con il pubblico è incredibile".
I Queen sono sempre sembrati troppo aggraziati per avere i loro momenti alla Spinal Tap. Ti è mai capitato qualcosa del genere, un momento assurdo?
"Oh, sì. Una delle volte più memorabili fu in Olanda. Avevamo un meraviglioso impianto luci che sembrava una corona e si alzava dal palco come una nave spaziale. Stavamo suonando We Will Rock You in versione veloce e Freddie era da una parte del palco, mentre io ero dall'altra. Quella particolare sera i paranchi erano stati cablati male, così invece di salire, l'impanto luci si è inclinato su un lato. Fu il panico! Poi si bloccò completamente. Oggi fa ridere, ma in quei momenti...".
Qual è il tuo ricordo preferito di Freddie durante i suoi ultimi anni?
"Ci siamo divertiti molto a Montreux, perché eravamo lontani da occhi indiscreti. A quel punto eravamo una vera famiglia. Non facevamo entrare nessuno con noi. Non volevamo che qualcuno molestasse Freddie in quelli che sarebbero stati i suoi ultimi momenti di vita, anche se non eravamo sicuri che fossero i suoi ultimi momenti a quel punto, perché si ha una certa incredulità di fronte a qualcosa di così grande. Anche se l'evidenza è davanti ai tuoi occhi, non credi che se ne andrà. Ma è stato un periodo meraviglioso. In quegli ultimi anni ci siamo sostenuti a vicenda più che mai".
Parli ancora con lui?
"È molto presente. Ci sono momenti in cui qualcuno ti fa una domanda e non sai bene quale sia la risposta, e pensi: 'Cosa direbbe Fred?'. E in realtà sai davvero cosa direbbe. Anche se era abbastanza imprevedibile, sapevi come e cosa pensava".
Se fosse ancora qui, pensi che i Queen esisterebbero ancora?
"Oh, senza dubbio. Anche nei tempi più gloriosi andavamo in giro per i quattro angoli della Terra, ma tornavamo sempre alla 'nave madre'. Era il luogo, la condizione sempre pronta ad accoglierci per tornare tutti e quattro a suonare insieme, ne sono sicuro. E oggi Freddie farebbe ancora parte del mondo dello spettacolo".
Avete provado i Queen con Paul Rodgers, ma non è andata proprio come la gente pensava. Hai avuto la preoccupazione che sarebbe stato lo stesso con Adam Lambert?
"La gente mi dice sempre che dopo i Queen avremmo dovuto fermarci e fare qualcos'altro. Io penso: 'No, non credo'. Ho fatto parte della fondazione di tutto questo, quindi ho il diritto di continuare. Se dovremmo suonare? Certo che dovremmo! Ce l'abbiamo nel sangue. Ti fanno la domanda: 'Come potete avere l'audacia di far cantare i successi di Freddie a Adam Lambert?'. Beh, possiamo perché lo facciamo e lo facciamo perché possiamo! E Adam interpreta a modo suo queste canzoni, non imita Freddie. Mantiene vive le nostre canzoni".
Roger ha detto che avete provato a registrare una nuova canzone con Adam un paio di anni fa.
"Era una canzone che abbiamo cercato di adattare e che ci era giunta da un amico. Aveva la stoffa per essere un grande successo, ma non siamo riusciti a definirla nel modo giusto".
Passandoti la mano sul cuore, pensi che ci sarà mai un nuovo album in studio dei Queen e Adam Lambert?
"Non lo so. Questa è la risposta più onesta che posso darti. Davvero, non lo so. Non vedo alcuna obiezione, ma non è ancora successo".
Quando guardi indietro agli ultimi cinquant'anni e alla vita che hai vissuto, a volte ti sorprendi?
"Costantemente. Tendo ancora a entrare in un posto e pensare che nessuno sappia chi sono. E mi sento come se dovessi dimostrare chi sono. Queste sensazioni non passano mai. Mi sveglio e dico: 'Mio Dio, sono davvero successe tutte queste cose?".
|
|
|
|