di Mike Mettler – Guitar Tricks Insider, maggio / giugno 2017 (18 maggio 2017)
Traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana
In effetti si potrebbe anche pensare che May ─ il quale ha letteralmente costruito il proprio sound progettando una chitarra elettrica fatta in casa che è nota in ogni dove come la Red Special, ed è anche un uomo davvero istruito con una laurea e dottorato di ricerca in Fisica ─ possa essere un tipo estremamente sicuro delle sue regali prodezze alla tastiera della propria chitarra, ma vi sbagliereste di brutto.
«A dire il vero, sono sempre piuttosto insoddisfatto del suono che ho ottenuto nei dischi», ammette May. «A volte ci andavo vicino, come in Fat Bottomed Girls [dall’album Jazz del 1978, ndr]. In studio pensai che fosse QUELLO, scritto in lettere maiuscole. Ma quando poi abbiamo fatto uscire il disco e l’ho sentito alla radio ho pensato “No, non è per niente come dovrebbe essere”.»
«Sono d’accordo completamente con quanto ha detto Nuno Bettencourt, sul fatto che sia importante quello che viene trascurato. E Freddie era uno specialista in questo. Non c’è niente fuori posto in Killer Queen. Ci sono un'immensità di cose in quel pezzo, ma nulla va a cozzare con nient’altro.»
May ammette di pensare che il suo assolo multi-traccia con l'effetto di campane in cascata fosse esattamente quanto necessario per spingere Killer Queen ad un livello di primo ordine.
Concorda: «Ero soddisfatto del fatto che l’assolo avesse retto il gioco. Tutto è di una limpidezza cristallina. E quando le tre voci di chitarra fanno tutte insieme delle melodie, sembra come se andassero all’unisono in modo spontaneo. Ero davvero soddisfatto di come è venuto».
Mentre Killer Queen raggiungeva infine la #2 nella classifica britannica dei singoli e dava alla band l’accesso in America, qualche dubbio si insinuava nella mente di May sul fatto che fosse o meno la mossa giusta per i Queen in un momento in cui il gruppo stava ancora definendo la propria identità sonora.
«All’inizio ebbi riserve sul fatto che la canzone potesse essere un singolo. Mi sono sempre preoccupato di questo. Tutti pensavano che fosse la canzone più commerciale, però io mi preoccupavo che la gente ci collocasse in una categoria in cui si pensasse che stessimo facendo un genere “leggero”. Nella mia mente, Sheer Heart Attack era assolutamente heavy ed esplicito, e Killer Queen era il brano più leggero in esso contenuto. Ma quando l’ho sentita alla radio ho pensato “È un disco ben fatto e ne sono orgoglioso. Per cui davvero non mi importa altro”. In più era una ca**o di hit! Una hit è pur sempre una hit.» (Con altissima probabilità, Maria Antonietta approverebbe.)
«In parte è stata una casualità, perché io e mio padre [Harold May, ndr] abbiamo costruito insieme la chitarra ed io ho in seguito trovato l’amplificatore giusto», spiega May riferendosi all’amplificatore Vox AC-30 che controlla il suono della Red Special. «Avevo quel suono nella mia testa e volevo che fosse come una voce. Per cui ci fu qualche valutazione prima dell’acquisto, ma alla fine sono stato fortunato a trovarlo. Ritengo di aver avuto qualche dubbio all’inizio sul fatto che il sound prodotto potesse essere un po’ troppo pastoso e morbido o cose del genere, ma suonava diversamente da qualunque altra cosa. Sono dell’idea che se non avesse funzionato avrei continuato la ricerca di qualcosa che sarebbe andata bene.»
L’alchimia di May con Mercury è sempre stata nettamente palpabile nei dischi.
«Devo dire che con Freddie ho sempre avvertito qualcosa di elettrico. Sui nastri ci sono dei momenti di cui vado orgoglioso, anche se non sono dei grandi passaggi di virtuosismo», riconosce May, che continua:
«Ad esempio, quando facemmo We Are The Champions [dall’album New Of The World del 1977, ndr] avevo registrato le parti di chitarra con largo anticipo rispetto al previsto. Tutti dissero “Va bene così”. Di norma il mix della canzone era realizzato dalla persona che la scriveva, come fu anche in questa occasione. Mentre Freddie missava il tutto, presi una registrazione su nastro e la portai a casa verso la metà del procedimento, quando i piani erano di completare il lavoro al mattino».
May scoprì in fretta che la traccia di chitarra non era di suo gusto.
«Ho pensato che la chitarra non andasse bene. Sembrava debole in confronto al modo in cui si era evoluta la canzone», constata May. «Dissi, “Guarda Fred, devo tornare indietro e rifarla”. Così rilvorato il tutto. Verso la fine c’è un piccolo pezzo in cui ho cercato di far cantare la chitarra insieme alla voce di Freddie. In quella sezione lui aveva spinto al massimo la propria voce, per cui tentai di spingere al limite anche la mia chitarra per esprimere che mi sentivo allo stesso modo. Si sente appena sul disco. Non è una parte in evidenza, ma si sentono la voce e la chitarra come se si stessero sforzando insieme una con l’altra. Questo è il genere di cose che mi piace risentire adesso. È un bel momento ed è stato immortalato in quel punto.»
«Per qualche ragione Freddie aveva un modo di creare verso cui mi sono sempre sentito di poter contribuire. Quasi sempre, quando giungevo al punto in cui avrei suonato per una canzone scritta da Freddie, sapevo precisamente cosa realizzare. Qualche volta gli dicevo, “Voglio che gli accordi siano in un certo modo per far sì che possa suonare al meglio”. Registrare l’assolo era solo questione di riprodurre ciò che avevo nella mia testa. Riuscivo a sentirlo come parte della canzone mentre questa scorreva. Ho sempre saputo in quale momento arrivava il mio turno e sapevo come sarebbe dovuto essere.»
Piuttosto che puntare unicamente sulla propria abilità, ad un certo punto May tendeva a elaborare le proprie parti in anticipo.
«Registravamo le parti di chitarra, ma normalmente non mi sedevo a scrivere le cose», spiega. «Fortunatamente l’unico momento in cui entravo nella fase analitica era dopo aver ultimato le registrazioni. Penso che normalmente le cose avvengano in questo modo. Mi sono formato prendendo delle lezioni di pianoforte e sapevo come funzionano le armonie. Ma penso che diventando troppo tecnici nelle cose si tenda a finire per essere sterili, iniziando a diventare prevedibili. Invece, se si segue l’intuito, vengono fuori un sacco di cose buone. Lo so da prima che iniziassi a suonare, sia che avessi qualcosa da proporre che non. Ma se non ho nulla da comunicare, la migliore cosa da fare è lasciar perdere e riprovarci un altro giorno.»
Fare i conti con i segni del tempo che passa è qualcosa che ha sempre catturato l’attenzione di May.
«Sono interessato alle cose che producono momenti magici», concorda. «Un po’ come Ginger Baker, [il batterista dei Cream, ndr] che era interessante perché ha sempre fatto cose con il sapore del proprio specifico periodo, ma di fatto appartenevano a un’altra epoca. A meno che non lo si ascolti con molta attenzione, si potrebbe pensare che la prima battuta sia ogni volta completamente diversa. Sono sempre rimasto intrigato da questo.
Ai tempi dei Cream, anche Eric Clapton suonava cose che sembravano sfuggire alle regole del suo tempo, apparendo come di un’altra epoca rispetto a quella alla quale effettivamente appartenevano. Ho sempre trovato molto emozionante tutto questo. Ritengo che qualcosa di tutto questo si sia insinuato anche in ciò che faccio.»
Fra l’altro quelle famose armonie sovrapposte dei Queen dovevano essere realizzate una per volta.
«Non si possono suonare due note nello stesso momento», spiega May. «Quando si usa la chitarra in quel modo essa smette di essere uno strumento polifonico. Si deve suonare una nota e coglierne il suono in modo che vengano fuori una per volta. Penso che sia cosa buono lavorare per sezioni, perché altrimenti si tenderebbe a perdere il filo.»
Per May la chitarra è come un’eterna fonte di giovinezza.
«Per me, prima di tutto, il suono della chitarra è qualcosa di meraviglioso. Mi fa ancora lo stesso effetto. Guardo nello specchio e vedo che sono invecchiato tantissimo. Trovo sempre più difficile mantenere efficiente il mio corpo, e questa cosa tenderà a peggiorare. Ma dentro di me, sento di essere lo stesso di quando avevo 19 anni. È strano, ma ancora mi emoziono al suono della chitarra. Mi emoziono ancora anche a vedere qualcuno che produce quel genere di suono. Ho visto Jeff Beck esibirsi di recente e ho avvertito lo stesso brivido e l’entusiasmo nell’osservarlo oggi come accadeva quando ero bambino. Non passa mai.»
Dopo sei decenni a suonare, registrare ed ascoltare, la chitarra continua ad emozionare Brian May come nient’altro.
«C’è qualcosa della chitarra che esprime rabbia, passione e frustrazione meglio di qualsiasi altra cosa.», afferma May. «Non importa quanti anni hai. Si combatte sempre con le proprie emozioni, e per qualche ragione la chitarra le coglie. Non riesco ad esprimere questo mio pensiero in altri termini, meglio di così.»
Brian May è un uomo che ha sicuramente fatto un suo percorso. Amici miei, ora è un vero fuoriclasse della chitarra, e continuerà a riffare fino alla fine.
• Lo "zampino" italiano nell'assolo di Brian May in KILLER QUEEN [Wire Choir, 1999]
• Brian May - GLI INIZI - intervista per M Magazine [PRS for Music, 2013]
• L'album "Sheer HeartAttack", dall'ansia per la salute di Brian al successo di vendite e critica
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