Il chitarrista dei Queen parla di Rami Malek, dei calzini di Roger Taylor e di cosa avrebbe fatto Freddie di tutto questo
di Henry Yates - Louder Sound - 29 novembre 2018
Traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana
«Penso che la cosa migliore sia guardare sempre avanti, e mai indietro.»
È questa la risposta del sempre diplomatico chitarrista dei Queen alla domanda sui momenti che farebbero venire un cerchio alla testa a chiunque.
Almeno ora abbiamo Bohemian Rhapsody. E nonostante le difficoltà che ne hanno segnato la nascita, sembra che i primi segnali lo indichino come uno dei migliori biopic musicali degli ultimi anni. Dai dettagli chirurgici nei costumi e nelle ambientazioni a cui si aggiungono parti audio inedite, si tratta di una macchina del tempo per i fanatici dei Queen.
Ma tutto questo sarebbe nulla senza la performance del protagonista Rami Malek, il quale si è rivelato la svolta perfetta nel puzzle complessivo che May non avrebbe mai pensato che si potesse trovare.
«Lui spacca assolutamente. Recitare la parte non era abbastanza. Lui è entrato in Freddie.»
«Oh, ci sono stati migliaia di momenti in cui abbiamo dubitato che ce l'avremmo fatta. È stata una strada molto dissestata, ma a volte la vita è così. Le cose non filano sempre lisce e forse alla fine è meglio così. In un certo senso rispecchia la storia effettiva della band. Non abbiamo avuto un percorso regolare nei Queen, ma alcuni dei momenti avversi ti rendono più forte, e nel film succede la stessa cosa. Non esiterei assolutamente ad affermare che è meraviglioso.»
Come ti senti quando lo guardi: felice, triste, nostalgico?
«Tutte queste cose, sì. Gioia e orrore, tristezza e tutte le grandi emozioni che si possono provare. Ormai l'ho visto centinaia di colte, in piccole parti e infine completo nel suo insieme, e devo dire che ancora mi prende. È molto commovente. Riguarda Freddie. Sì, noi ci siamo, ma la storia riguarda Freddie, così come è sempre stato scelto. Ovviamente per noi Freddie è preziosissimo. Una delle prime grandi svolte nella sceneggiatura è stata quando Peter Morgan disse: "Questo film parla di una famiglia". Parla di tutto quello che succede in ogni famiglia: momenti belli, altri brutti, chi va via, la ricerca di una propria indipendenza e poi si coltiva la cultura della famiglia. Il film parla di queste cose per certi versi, e poi c'è il talento emergente di Freddie, la sua straordinaria resilienza e senso dell'umore.»
Il film termina con i Queen che suonano al Live Aid nel 1985. C'è mai stata la tentazione di andare oltre quel momento?
«No. Penso che quello rappresenti un naturale culmine. Ed è sempre stato assolutamente così fin dalla prima scrittura. Sentivamo che quello fosse il nostro apice, al contrario di quello che certa gente ha detto sulla stampa, quelli che sanno sempre tutto. Qualcuno che è meglio lasciare innominato ha detto: "Vogliono far vedere Freddie che muore a metà del film e poi trattare il resto nel periodo vissuto senza Freddie". Beh, tutte stronzate. Il film è tutto su Freddie e penso che il Live Aid sia un buon punto in cui fermarsi. Chissà... Potrebbe esserci un sequel... [ride].»
Suonare al Live Aid è stato uno dei giorni migliori per i membri dei Queen?
«È stato un momento straordinario. Ed è stato anche inaspettato, perché eravamo l'ultima band aggiunta nel programma. Tutti i biglietti erano stati già venduti prima che fossimo annunciati, quindi sapevamo che non avremmo trovato un pubblico per i Queen. Non ci aspettavamo molto, piuttosto ci vedevamo come degli outsider. Vedere quella reazione fu sconvolgente. Tutto questo si può vedere nel film. Ed è mostrato anche dal nostro punto di vista. C'è quello che non si trova nei documentari. Si osserva a un rifacimento di fantasia, ma è sbalorditivamente vero.»
«Penso che tutti noi credessimo che sarebbe stato difficile. In certi momenti abbiamo pensato che fosse impossibile. Ma poi ecco che arriva Rami, e immediatamente abbiamo avuto delle bellissime sensazioni.»
Direi che se Sacha Baron Cohen fosse rimasto come protagonista non avreste mai conosciuto Rami?
«Beh, quello fu quasi un disastro. Penso che ce ne siamo resi conto giusto in tempo di quale disastro sarebbe stato. E effettivamente non è che servisse la fantascienza per capirlo. Ma sì, è stata una di quelle grandi rocce che abbiamo quasi colpito. Penso che all'inizio fossimo tutti nervosi, quando il casting andava per le lunghe. Sì, perchè era una situazione difficile da contemplare: qualcuno avrebbe dovuto rappresentarci nel film. Ho trascorso un sacco di tempo con Gwilym Lee, l'attore che mi interpreta, in modo che mi conoscesse e capisse. Ha colto le mie movenze, i modi di esprimermi e le cose di cui mi interesso. Per cui, quando io e Freddie siamo in studio e ci confrontiamo è molto vicino alla realtà. Parte di quelle scene erano improvvisate, ma lo facevano conoscendoci profondamente.»
È un ritratto completamente lusinghiero di Freddie oppure mostra anche le sue lacune?
«Sì, mostra tutto. Nessuno pensa che Freddie fosse perfetto, ma certamente era fuori dal comune. C'è tutto, senza nessuna contropartita. Non doveva risultare confusionario è dissoluto, e penso che sia tata una buona decisione.»
Ma non è un film da drogati del rock?
«No. Non ce n'era bisogno. Tutto quello che deve esserci c'è. Ma non serviva compiacersi con scene di dissolutezza. In ogni caso non è che Freddie fosse particolarmente dissoluto. So che ci sono persone che ricercavano questi aspetti, ma no, è un film che mostra la verità in un modo sì profondamente crudo, ma anche divertente.»
«Per me sì. Penso che l'avrebbe considerato giusto, davvero. Viene mostrata tutta la sua grandezza e tutta la sua fallacità e insicurezza, tutto l'insieme di quello che era. Penso che ne dia una rappresentazione molto veritiera e non sincopatica, ma si può apprezzare tutto il suo talento. Perchè sicuramente ne aveva, era unico. Non ho mai incontrato e mai incontrerò nessuno nella mia vita come Freddie, nè prima nè dopo averlo conosciuto. E con ogni probabilità non succederà mai un'altra volta.»
Pensi che Freddie sarebbe potuto essere una star del cinema?
«No. Non ne aveva la pazienza. Gli venne offerta una residency nel West End ad un certo punto, e lui chiese: “Sì, voglio farlo! Quanti spettacoli alla settimana ci sono?" Gli dissero: "Otto". E lui: "Ne farò un paio". Non gli piacevano le cose ripetitive. La pazienza non era una delle sue virtù. Penso che avrebbe trovato difficoltoso andare tutti i giorni sul set per le riprese. Non credo che sarebbe durato troppo a lungo... [ride]».
Qual è la tua scena preferita del film?
«La mia preferita è il momento di Rami in cui Freddie trova il coraggio di dirci che sarebbe andato via per fare un album solista. È un pezzo di recitazione meraviglioso, e molto di esso non era scritto sul copione. Quando l'ho visto ho subito riconosciuto Freddie. Ci parlava con calma, sbuffando con la sua sigaretta, senza tanta voglia di dirci quelle cose. Alla fine lo fece, in una maniera molto semplice e diretta. Potete notare la rabbia che aveva dentro. Quella scena stava quasi per essere tagliata via dal film ─ svelo questo piccolo segreto ─, semplicemente perchè c'è sempre quella pressione a rendere il tutto più corto. Ma ci siamo battuti perchè restasse, in quanto il realismo che c'è dentro è assolutamente straziante. Fu un momento difficile per noi. Era come se Freddie stesse abbandonando la nostra famiglia.»
Hai anche aggiornato il tuo libro Queen in 3-D con foto esclusive dal set del film. Com'è stato essere lì presente?
«Davvero tante e differenti emozioni. I primi giorni insieme al regista Bryan Singer sono stati molto tesi e intensi, e non avevo idea del tempo che ci sarebbe voluto in mia presenza. Mi sembrava di interferire con il processo realizzativo. Ma nonostante tutto sono stato lì e con la mia macchina fotografica ho immortalato alcuni momenti delle riprese. Nell'ultima parte, quando Dexter Fletcher è subentrato alla regia, è stato un universo differente; tutto è cambiato e tutti erano davvero allegri e rilassati. Penso che il film abbia giovato di entrambe le regie. Ci sono diverse correnti secondarie, ma anche tanta leggerezza e un sacco di gioia e divertimento.»
«Sì, penso di sì. HA soddisfatto noi... È un film che ti prende. Ci sono tantissimi incredibili dettagli. Tutti i nostri tecnici sono stati chiamati in causa. Per cui se date uno sguardo alle chitarre e agli amplificatori che ci sono sul palco al Live Aid noterete che sono dannatamente corrispondenti alla realtà. E gli uomini che hanno ricostruito il set del Live Aid per il film sono gli stessi che costruirono quello originale. Naturalmente c'è sempre qualcosa di inesatto individuabile. Non esiste il film perfetto, e i fan dei Queen capiranno che alcune situazioni sono state collocate differentemente nel tempo, ma per dare un senso alla storia. Non si possono concentrare 40 anni della vita di una persona un due ore e mezzo senza omettere un sacco di cose.»
Ho sentito che perfino i calzini di Roger Taylor corrispondono a quelli dell'epoca.
«Non so dei calzini. Ad essere onesto non tutti gli indumenti sono perfette riproduzioni in ogni caso, ma i dettagli significativi sono tutti al loro posto. Una volta che partivano le riprese non era più il nostro film; era il film della Fox. Sono stati loro a pagare le spese. Pertanto certamente non andavamo in studio a dire alle persone cosa fare. Se c'era qualcosa di realmente prioritario, qualcosa che si dimostrasse marcatamente fuori posto, allora dicevamo molto pacatamente la nostra al regista, lasciando che fosse lui ad occuparsene».
Hai davvero suonato la tua Red Special con l'archetto del violino come si vede nel trailer?
«No. E la cosa buffa è che gli addetti ai trailer lavorano per conto proprio con tutto il materiale a loro disposizione. Per questo tantissime cose che si vedono nei trailer poi non sono effettivamente presenti nel film. La scena con me che suono con l'archetto del violino come parte della sperimentazione in studio è uno di essi. Non eravamo presenti a quelle riprese. E quando l'ho vista ho detto: "No, questa cosa non è mai successa. E non lasciate neppure fingere che sia successa. Quel genere di cose le faceva Jimmy Page, non io". Ma agli uomini dei trailer era piaciuta. Questo è ciò che posso dire. Comunque no, non la vedrete nel film.»
La colonna sonora include anche il set mai pubblicato del Live Aid, giusto?
«Sì, c'è del bel materiale live, cose che non erano mai finite su un album prima. Ma c'è anche qualcosa che manca nelle prime registrazioni, come ad esempio quando Freddie viene a vedere me e Roger suonare negli Smile. È tutto rappresentato nel film. E siamo riusciti a ricreare alcune di quelle parti musicali. È stato molto divertente. Tim Staffell è davvero venuto a registrare in studio, così nell'album della colonna sonora c'è un pezzo degli Smile [Doing All Right].»
Pensi di poter riuscire a fare parte della macchina hollywoodiana nel lungo termine? Oppure quel genere di vita ti porterebbe a una crisi di nervi?
«Beh, è sempre imprevedibile quanto riusciamo ad adattarci a certe cose. Può essere di gradimento farne parte per un po', ma è un duro compito. I numeri, in termini di denaro, sono centinaia di volte più grandi rispetto a quelli con cui siamo abituati ad avere a che fare ogni giorno. È un mondo differente. E l'ammontare di sperpero è incredibile. Ma ci sono tantissime cose meravigliose che accadono. E penso che ci sia della magia in questo film.»
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