Bucks Burnett ha incontrato la maggior parte dei suoi idoli musicali. In questo articolo condivide i suoi racconti dei backstage e in prima fila.
di Bucks Burnett per il Dallas Observer - 6 settembre 2017
Traduzione in Italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana
Fino al mese di novembre 1974 i Queen avevano aggiunto altri due magnifici album al loro catalogo: Queen II e Sheer Heart Attack, ognuno dei quali erano stati da me acquistati il giorno stesso della loro pubblicazione. Ad ogni album il mio amore per la band aumentava, e per fortuna finalmente vennero in tour nel Nord America da headliner, passando da Dallas per la prima volta il 22 marzo 1975.
Già allora avevo sperimentato gli alti e i bassi del tentare di incontrare le mie rockstar preferite. Il 28 aprile 1973 incontrai Neal Smith e Dennis Dunaway del gruppo originario di Alice Cooper, un attimo prima che il leggendario manager della band, Shep Gordon, mi fermasse non appena mi avvicinai al camerino di Alice, cacciandomi via dall'area del backstage.
Tre ettimane dopo tentai di incontrare i componenti dei Led Zeppelin durante il loro soundcheck al Memorial Auditorium, successivamente ribattezzato Dallas Convention Center. Mi stavo divertendo con un roadie, il leggendario Magnet, il quale spense la sigaretta con la scarpa e disse in modo autoritario: «Guarda amico, sono i fottuti Led Zeppelin, loro non fanno i soundcheck!».
A pensarci adesso, la sede che i Queen avevano prenotato per suonare nel 1975 sembrava incredibile: il McFarlin Auditorium, nel campus della Southern Methodist University. Aveva meno di 2.400 posti. Nonostante il gruppo avesse pubblicato il primo singolo di successo, Killer Queen, e aggiunto i Bloodrock come gruppo in apertura a partire dal concerto a Fort Worth, lo spettacolo non fu tutto esaurito. Io ed il mio amico Doug Wuerch comprammo i biglietti e decidemmo che avremmo provato ad incontrare la band.
Quando si è sedicenni niente è più elettrizzante e stimolante dell'idea di incontrare i propri miti. Doug ed io andammo direttamente dal liceo a McFarlin, dove decisi che il momento migliore per trovare i Queen sarebbe stato durante il soundcheck. Mentre ci incamminavamo verso l'auditorium sentivo che provavano la batteria.
Dissi: «Sono lì dentro; seguimi!».
Passammo attraverso l'ingresso principale della struttura, con tutte le luci della sala accese, e loro erano lì: i quattro membri dei Queen che ridevano, parlavano e suonavano spezzoni dei loro brani verso la fine del soundcheck. Ci sedemmo incontrastati nel mezzo dell'auditorium vuoto, e ci ubriacammo con una esibizione esclusiva dei nostri miti.
Pensate che negli anni '70 pochissimi fan sapevano cosa fosse un soundcheck, e non c'erano pacchetti VIP completi con meet & greet. L'unico modo per incontrare una rockstar era osare, con astuzia e fortuna. Ciò che avvenne dopo fu qualcosa che non ha prezzo, e che spesso non si riesce ad ottenere neppure con una botta di fortuna. Era più che altro qualcosa di predestinato.
Quando la band iniziò a lasciare il palco, corremmo lungo la navata e li beccammo mentre stavano per uscire:
«Hey, Queen!... aspettate!», dissi.
Si voltarono e sorrisero, così ci presentammo come i loro più grandi fan di Dallas e gli dicemmo che avevamo comprato il loro primo album nel giorno stesso in cui andò in vendita. Gli dissi che Killer Queen era in programmazione nelle radio e che avrebbero avuto successo se avessero continuato così. Nel mio cervello da adolescente credevo che avessero bisogno di un incoraggiamento.
Quando il breve discorso si concluse, Freddie Mercury ci chiese:
«Volete che vi facciamo qualche autografo?». Quello era lo loro livello di notorietà in quel momento: offrirsi di fare autografi a due ragazzini al soundcheck.
«Certo!». Presi dalla mia tasca e gli passai i nostri due biglietti con il logo Queen sopra e dissi: «Potete autografare i nostri biglietti!».
«Fantastico. Avete un penna?»
Non avevamo la penna perchè non credevamo che il nostro piano avrebbe funzionato. La band iniziò a cercare delle penne, e John Deacon disse: «Non abbiamo penne». Brian May, tastandosi la camicia e i pantaloni, disse: «Non abbiamo neppure le tasche!».
Fu veramente come una pugnalata nello stomaco; indossavano i loro eleganti abiti di scena.
Freddie, che ancora sfoggiava i propri capelli lunghi, mi guardò e disse:
«Siamo affamati. Dove potremmo andare a mangiare?».
Diedi alla band le indicazioni per il Campisi's Egyptian Lounge, a due miglia di distanza su Mockingbird Lane.
Risposi: «Nessuno lo sa...»
«...e nessuno se lo chiede. Pensiamo che lo gestisca la mafia». Ci ringraziarono e andarono via.
Ripensando a tutto questo con il senno di poi, allo show di quella sera, mentre tutti ci accalcavamo sotto il palco, nessuno acclamava Bohemian Rhapsody, perchè la canzone non esisteva ancora. E non c'erano ancora neppure We Will Rock You o We Are The Champions. Stavano ancora diventando "i campioni”. Freddie aveva i capelli lunghi e non i baffi. Era un periodo breve e splendido della storia del rock.
Trentadue anni dopo, era su una piccola barca chiamata la Mercia, diretto alla O2 Arena attraverso il fiume Tamigi, a Londra. Andavo a vedere la reunion dei Led Zeppelin del 10 dicembre 2007. Jimena Paratcha Page, l'ex moglie di Jimmy Page, mi aveva dato quattro biglietti per lo spettacolo e mi aveva invitato a recarmi al concerto in barca con i donatori della sua associazione benefica: la ABC Brazilian Trust.
A bordo quella sera c'era Brain May. Mi fece segno con le mani di andare al suo tavolo e chiese come andassero le cose. Mentre chiacchieravamo, chiese: «Dov'è che ti ho già incontrato?». Gli raccontai del soundcheck del 1974 [era il 1975, ndt] e lui disse: «No, non penso di ricordarmelo...».
A Dallas nel 2014, nel backstage all'American Airlines Center, chiesi a May se la band fosse mai stata al Campisi's. Gli ho ripetuto quel nome e lui disse: «Il ristorante egiziano! Ricordo perfettemente quel nome, per cui penso che ci siamo stati!».
Per cui, nella mia vita, posso almeno dire che ho portato i Queen al Campisi’s.
A Bath, in Inghilterra, l'anno prima andai a vedere Brian alla presentazione del suo libro di fotografia 3-D in una vecchia cattedrale. E il 4 agosto di quell'anno la mia fidanzata Barley ed io facemmo di nuovo visita a Brian nel backstage, poco prima che i Queen salissero sul palco con Adam Lambert. Nel camerino c'era anche il chitarrista Eric Johnson. Mentre parlavamo tutti insieme mormorai qualcosa di arguto, e Brian esclamò verso di Eric: «Questo tizio non molla, vero?!».
No Brian, direi di no. Da quando ho comprato il vostro primo album nel 1973 fino a quando vi ho incontrati a Dallas nel 1975, fino allo show dei Led Zeppelin insieme a te ─ confermando ogni ragionevole dubbio che avete riscoso certamente successo ─ l'unica cosa che non ho mai fatto in tutta la mia vita è mollare. Non sono un tipo che si arrende. Non fa per me.
Se molli la presa, un sogno potrebbe andare perduto per sempre.