di Alexis Petridis, The Guardian - 12 ottobre 2019 [estratto]
Traduzione di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana
Billie Jean King, ex campionessa di tennis:
Nel corso degli anni io e te abbiamo parlato della necessità di avere una nuova canzone ‘da campioni’ che potesse diventare un inno sportivo. Come procede la cosa?
Billie Jean ha sempre sostenuto che We Will Rock You e We Are The Champions dei Queen fossero l’esempio massimo di canzoni per lo sport. Non avrei potuto mai chiedere a Bernie [Taupin] di sedersi e scrivere dei testi come quelli; non è quel genere di autore lui. Insieme abbiamo scritto Philadelphia Freedom per il team di Billie Jean, ma non aveva a che fare con il tennis; Bernie la scrisse solo con in mente Philadelphia. E poi, ad essere onesto, We Are The Champions è imbattibile: è talmente ben fatta e mirata allo scopo da poter essere impiegata per qualsiasi sport. Quella fetta di mercato era appannaggio dei Queen ormai, il che era esilarante perché Freddie Mercury odiava lo sport; non ne sapeva assolutamente nulla. Se qualcuno avesse menzionato “Arsenal” a Freddie, lui avrebbe pensato a qualcosa riguardo al sesso dei gay.
Tilda Swinton, attrice:
Quali sono i tuoi tre nomignoli da donna, che ti siano stati realmente attribuiti o anche nel tuo immaginario?
Mi sono stati dati tre di quei nomi. Quello mio vero e proprio, che uso di più, è Sharon Cavendish. Cavendish venne in mente dal tastierista degli anni 50 chiamato Kay Cavendish, il quale appariva sempre con il mone Kitten On The Keys [il micio alle tastiere, NdT]. Fu il mio amico Tony King a darmi quel nome. Quando vado in Francia sono Régine Pouffe. E se vado a Atlanta, siccome vivo in una zona chiamata Buckhead, lì sono Tallulah Buckhead. Sono anche conosciuto per presentarmi alle reception degli hotel con il nome Chlamydia Schiffer, che mi diede David. Non puoi sceglierti da solo il tuo nomignolo; deve essere qualcuno a dartelo. Adoro dare questi nomignoli alle persone. John Lennon voleva essere chiamato Morag, ma in quel modo non avrebbe funzionato, per cui finì per diventare Carol Dakota. Freddie Mercury era Melina, da Melina Mercouri [l’attrice, cantante e politica greca, NdR]. Rod Stewart era Phyllis.
Peter Sand, banchiere e direttore generale del ‘Fondo globale per la lotta all'Aids, la tubercolosi e la malaria’:
Il mondo ha perso un grandissimo artista con la morte di Freddie Mercury a causa dell’HIV. Ci racconti i tuoi ricordi preferiti che lo riguardano?
Nel backstage al Live Aid avevo una immensa zona che avevo provveduto a far arredare un po’. Mi assicurai che vi fossero sedie per tutti in modo che dopo aver suonato si potessero accomodare e fare una chiacchierata. Dopo che i Queen ebbero rubato la scena a tutti, arrivò anche Freddie. Gli dissi: “Freddie, nessun altro potrà esibirsi là fuori dopo di voi! Siete stati magnifici!”. E lui rispose: “Hai assolutamente ragione, mia cara. Li abbiamo distrutti tutti quanti”. Era emozionatissimo. Poi disse: “Tu, invece, mia cara, sembravi la maledetta Regina Madre su quel palco. Dove hai trovato quell’orribile cappello?”. Freddie era così: era divertente. Perfno quando stava per morire era rimasto esattamente lo stesso. Era sdraiato sul suo letto, troppo debole per stare in piedi, stava perdendo la vista, ma diceva: “Cara, hai sentito il nuovo album della ‘Signora’ Bowie?. Cosa crede di fare?”. Mi sono sempre divertito un sacco insieme a lui.
BONUS!
Articolo di Ilaria Scognamiglio pubblicato su Movieplayer il 16 ottobre 2019
FREDDIE MERCURY, ELTON JOHN RIVELA:
«SONO USCITO DAL TUNNEL DELLA DROGA GRAZIE A LUI»
Freddie Mercury ha aiutato Elton John ad uscire dal tunnel della droga: lo ha rivelato il cantante di Rocketman nella sua autobiografia Me, aggiungendo che il frontman dei Queen e George Harrison caldeggiarono un ricovero in rehab, perché Elton era in condizioni terribili.
La superstar mondiale Elton John ha rivelato come gli amici famosi, tra cui Freddie Mercury e George Harrison, gli dissero espressamente che stava esagerando con la droga, proprio al culmine della sua dipendenza negli anni '80, e lo pregarono di andare in riabilitazione, affrontando con lui una discussione molto accesa.
Elton John nel suo libro ha raccontato di Michael Jackson e di tantissime altre superstar che ha conosciuto, ma ha raccontato in maniera approfondita del suo periodo buio dovuto alla sua dipendenza, ricordando di come continuava a sniffare per giorni nella sua camera da letto, guardando film porno e indossando una vestaglia macchiata di vomito, mentre mangiava a sbafo prima di ricominciare a dare di stomaco. Inoltre non si lavava, non si vestiva e non rispondeva al telefono. Fu il suo amante Hugh Williams che alla fine lo convinse a entrare in riabilitazione, quando Elton John era proprio al limite: «Alla fine, mi sono reso conto che se avessi continuato per un altro paio di giorni, avrei avuto un'overdose o sarei morto di infarto. Non avevo idea di come vivere, ma non volevo morire».
Così, Elton John decise di andare a Chicago, in una struttura specializzata, per le sue dipendenze da droghe, alcol e cibo, cominciando così un percorso di terapia. Dopo essere entrato in un periodo di ripresa, il cantante si unì agli Alcolisti Anonimi e alla fine iniziò il suo viaggio verso la guarigione: «Ho dovuto scrivere sempre, inclusa una lettera d'addio alla cocaina ─ che Bernie Taupin ha letto quando è venuto a trovarmi e si è commosso molto ─ e un elenco delle conseguenze del mio abuso di droghe e alcol».