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Freddie Mercury & Brian May - intervista per Circus magazine [2 febbraio 1978]

2/2/1978

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I Queen espandono il teatro del Rock
Freddie Mercury: «Nessuna barriera alla nostra musica»


di Bruce Meyer, dal n.174 di Circus magazine del 2 febbraio 1978
Traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana


È una corona mostruosa, accucciata sul palco oscurata come fosse un grosso avvoltoio nero, compatto e minaccioso, pronto a spiccare il volo.
E quando si solleverà i Queen vi faranno impazzire, ma con le buone maniere, in modo civile.
 

Stavolta Freddie Mercury, Brian May, Roger Taylor e John Deacon sono in pista con un nuovo approccio, ostentando le proprie radici rock & roll come mai prima. Non sarà un problema riconoscere la band; lo stile è sempre quello, la solita miscela di heavy metal, operetta, pop alla Monty Pyton e espedienti spregiudicati. Ma nello show c’è molto di più.

 
Mentre sorseggia impacciato del tè fornito dal servizio in camera senza il consueto latte, Brian May dice:

«Il palcoscenico è completamente diverso. È molto più diverso rispetto ai cambiamenti del passato. Il nostro strutturatissimo vecchio spettacolo si è sviluppato in un lungo periodo di tempo, evolvendosi ogni volta con aggiunta novità senza voler liberarsi di nulla che già ne facesse parte. Si è evoluto. Per cui questa volta è tutto diverso. L’album (News Of The World) ha suggerito di fare in questo modo e noi l’abbiamo fatto».


Ironicamente,   il palcoscenico è praticamente l’ultimo aspetto della fenomenale carriera dei Queen a finire sotto il totale, completo controllo della band. Dopotutto hanno iniziato come band da studio; per anni gli spettacoli dal vivo e gli album avevano poco a che fare gli uni con gli altri. Le canzoni erano le stesse, ma il sound dei dischi si poteva ottenere soltanto nell’atmosfera controllata dello studio di registrazione. Con News Of The World (Asylum), di gran lunga il disco più basilare che la band abbia mai fatto, tutto ha cominciato a cambiare.
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John Deacon, Freddie Mercury e Brian May: il ruolo di Brian è più vigoroso e visibile in questa annata di spettacoli dei Queen
Freddie dice:

«Per tutti noi non c’è verso di andare sul palco e metterci comodi lasciando fare ad altri il resto. Infatti sta accadendo il contrario, con noi che stiamo imparando a prendere il controllo e gestire tutto quello che ci circonda, naturalmente delle figure principali. Ma siamo noi ad avere il controllo. E questo avviene dall’alto management fino al fattorino. È una grande impresa».

 
Poche rock star mostrano una personalità che differisce così tanto dal palco alla stanza dell’hotel come Freddie Mercury e Brian May. È principalmente una differenza di temperatura. Freddie è tutto lampi e intensità, un vero forgiatore di pubblico fin quando è sotto i riflettori; fuori dal palco è un tipo a posto e distaccato che raramente incrocia il tuo sguardo e notevolmente a disagio con i propri denti sporgenti. È ironica come cosa, visto che sono proprio loro a salvare il suo volto da una eccessiva bellezza.
 

Quando Brian è sul palco lo si vede pochissimo. È tutto capelli e dita, preso ad ascoltare e sentire la musica e senza altri sentimenti che contino neanche un po’. Sul palcoscenico i suoi occhi sono socchiusi, ad eccezione dei momenti in cui rivolge un breve e compiacente sorriso alla folla. Ma faccia a faccia ha uno sguardo penetrante e occhi gentili che si incrociano appena con quelli di chi ha di fronte mentre parla dei cambiamenti adottati dai Queen.
 
Brian afferma:

«C’è una sorta di fermento in questo tour. Non so a cosa sia dovuto, se al singolo (We Are The Champions) o al nuovo album, o ancora al robot che c’è sulla copertina… e quant’altro. Questo tour presenta per noi un cambio di passo. C’è la sensazione che ci sia qualcosa di speciale che lo riguarda. Penso che nell’ultimo tour abbiamo sofferto  di una “Bohemian Rhapso-idite”, perché si trattava proprio di un disco mostruoso, immenso, molto più grande di quanto non lo fosse qualsiasi altro che avessimo mai realizzato».

 
Il successo a sorpresa di Bohemian Rhapsody ha incoraggiato i Queen a proseguire nel loro ben consolidato schema di sperimentazione. Con il nuovo album e il nuovo tour l’enfasi è sul rock più diretto.
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Sheer Heart Attack, del batterista Roger Taylor, contribuisce a far arrivare la durata dello show a due ore e mezza
Freddie rivela:

«Il nostro punto di forza è nella versatilità. La gente ormai ci conosce come una band che sa cimentarsi completamente in generi musicali contrastanti fra loro, molto diversi. Prendiamo ad esempio Killer Queen: con essa hanno pensato “Che roba è? Una band rock & roll che si presenta con questo genere di cose?”. Ma poi è giunta Bohemian Rhapsody, aprendoci vaste aree. E la gente voleva sapere quale sarebbe stata la nostra mossa successiva. Abbiamo iniziato con il rock & roll e siamo arrivati a fare questo. Non vorrei che la nostra musica abbia delle barriere ed essere limitata a una sola cosa».
 

La sperimentazione comporta dei rischi, fra cui uno dei più importanti è l’incoerenza, specialmente all’inizio di un tour. E a questo giro i Queen stanno avendo i loro alti e bassi. Boston e Philadelphia sono stati bellissimi, ma al Cobo Hall di Detroit ─ notoriamente una delle più famose sedi del paese ─ lo spettacolo non è stato decisamente un granché; una situazione aggravata da quello che deve essere uno dei più lunghi e noiosi assoli di chitarra che Brian May abbia mai suonato.

 
Il problema non è certamente il set in sé. Si tratta di una vetrina ben progettata per la musica dei Queen, rimarcata da un lungo medley (da Death On Two Legs e Killer Queen a Millionaire Waltz e You are My Best Friend), da una versione ancora più esplosiva di Bohemian Rhapsody rispetto all’altro tour e auna serie di numeri nel bis sottolineano nuovamente l’orientamento hard rock della band: We Will Rock You / We Are The Champions e le trascinanti Sheer Heart Attack e Jailhouse Rock.

 
Brian ci dice:

«La serata ha una struttura ben definita. Ovviamente non si possono tenere le persone a saltare su e giù per due ore e mezzo. Per cui c’è un momento ─ in una parte confacente dello spettacolo ─ in cui ci si può sedere e rilassarsi un po’ mentre suoniamo cose un po’ più caute. La lunghezza del set ci offre l’opportunità di fare un sacco di cose nuove, roba del nuovo album e un paio di cose dall’album precedente (A Day At The Races) che non abbiamo mai proposto in precedenza. Tutto questo senza privarci di nulla del vecchio materiale».
 

Come ogni buon set, questo riassume la musica dei Queen ad oggi, ma non c’è né un culmine né una perdita di slancio. I Queen fanno sentire di essere lì presenti e di poterci restare ancora a lungo ─ e insieme. Per loro non c’è niente di male a invecchiare insieme.
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Nonostante le responsabilità siano distribuite più equamente, Mercury canta ancora per oltre due ore
In un raro momento di incontrollata sincerità, Freddie si lascia andare dicendo:

«I nostri ego ci terranno insieme. Può sembrare stupido a dirsi, ma abbiamo un controllo totale dei nostri ego, al punto di essere ben al di sopra dell’eventualità di separarci. È ancora più forte di questo. Sappiamo bene che dobbiamo restare insieme per la sopravvivenza. È tutto legato al buonsenso. Sappiamo che qualsiasi cosa vogliamo fare è ben alla portata dei Queen ed abbiamo anche imparato a vivere insieme. Molto di questo deriva dall’essere cresciuti insieme. I super-gruppi non sembrano funzionare mai perché si sono ritrovati da percorsi differenti, ma band come i The Who e i Led Zeppelin sembrano destinate ad andare avanti per sempre. E io penso che anche noi lo faremo».






Grazie a Norberto Fedele per la scansione dell'articolo.






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─ @claudiobadger
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