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Freddie Mercury - intervista per Melody Maker [21/12/1974]

21/12/1974

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Freddie Mercury: l'Ape Regina

Freddie parla quasi apertamente della sua personalità, della parabola verso il successo con i Queen e dei sogni e gli incubi ad essso connessi

di Caroline Coon - Melody Maker, 21 dicembre 1974
fonte: www.QueenArchives.com
traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana

Non c'è niente di peggiore della mancanza di nuove star e miti per ridurre nello strazio più totale il mondo dell'intrattenimento. I magnati del cinema, non in grado di trovare successori alla Monroe e a Gable [Marilyn e Clark, entrambi attori americani scomparsi negli anni '60, ndt], stanno rendendo culto le antidiva. Ma l'industria del pop ha bisogno del potente elisir, l'emozione generata dall'utilizzo di un linguaggio verbale che sappia far ribollire il sangue nelle vene, allietando gli animi. E gli scribi del pop, come pellegrini stanchi che aspettano l'alba inzuppati di sudore, hanno faticato a incoronare un nuovo mito.
 
Poi, proprio quando la prognosi sembrava disperata, con un lampo abbagliante, i nostri amici hanno finalmente visto spuntare Freddie Mercury.
 
Improvvisamente abbiamo scoperto in mezzo a noi uno schianto dal fascino esotico, un opportunista donchisciottesco, un Elgar dei giorni nostri che ha scritto alcuni dei più sfavillanti inni del rock and roll che abbiamo potuto ascoltare nell'ultimo decennio.
 
Freddie, noto per la sua meticolosa attenzione ai dettagli, non avrebbe potuto definire meglio il proprio stile e la propria immagine, e s'è tolto ogni "debito". Con i Queen (ovvero Brian May alla chitarra, John Deacon al basso, e Roger Taylor alla batteria) ha avuto quattro anni per osservare la scena e spianarsi la strada, impassibile alle carenze di attenzione in altri ambiti. Tuttavia, con l'uscita di Sheer Heart Attack, tutti gli attacchi veementi con cui i critici avevano accolto i Queen e i loro due album precedenti hanno lasciato spazio a un tripudio di entusiasmo.
 


​
Freddie indossa pantaloni stretti e sensuali di raso grigio, una camicetta di raso color crema e una giacca vittoriana di velluto scarlatto. I suoi capelli sono di color nero corvino, con occhi luccicanti marrone scuro, con il suo sorriso che rivela una fila di denti bianchi perlati che sembrano pronti a mordere un pasto a base di hamburger servito dalla giovane cameriera. Pesta sul tappeto con uno stivale bianco, al ritmo della mia penna sul tavolo, e per un attimo mi chiedo ansiosa se mi trovi di fronte ad una primadonna infastidita. Ma poi inizia la sua stramberia: «No, mia cara, Mercury non è il mio vero nome. In origine era Plutone, è da lì che l'ho scelto». I suoi modi di fare dolci rompono il ghiaccio.
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Gli ho chiesto se avesse puntato così in alto già quando agli inizi fondò i Queen.
 
«È così. L'intero gruppo ha sempre mirato al primo posto. Non abbiamo intenzione di accontentarci di niente che sia meno. Questo è ciò che cerchiamo. Deve essere così. È quello che perseguiamo nella musica, siamo piuttosto originali... e, ora lo stiamo dimostrando», dice Freddie con insolita veemenza.
 
​

Dovevate avere tantissima fiducia in voi stessi?
 
«Devi avere fiducia in questo business. È inutile dire che non ce ne sia bisogno. Non va bene se si inizia dicendo a se stesso "forse non sono abbastanza bravo, forse è meglio che mi accontenti del secondo posto". Se ti piace la ciliegina che sta in cima alla torta, devi avere fiducia. Sono stato un bambino precoce. I miei genitori pensavano che il collegio mi avrebbe fatto bene, così mi ci hanno mandato quando avevo sette anni, mia cara. Se ci ripenso, credo che sia stato meraviglioso. Si impara a prendersi cura di se stessi e mi ha insegnato ad essere responsabile.»

 

La base da cui provieni è abbastanza benestante allora?
 
«No, non era così benestante come la gente pensa. Eravamo borghesi. Ma suppongo che dessimo l'impressione di essere ricchi. Mi piace questo. Lo faccio ancora. Fa tutto parte di come ti senti e di come ti proponi.»

 

Freddie ha lasciato il collegio quando aveva 16 anni. Ha studiato pianoforte classico, raggiungendo il livello 4, ma ─ essendo un tipo artistico ─ i suoi genitori lo hanno incoraggiato a sviluppare questo talento creativo.
 
«Sono andato all'Ealing Art School un anno dopo che l'aveva lasciato Pete Townshend. La musica era un'attività collaterale a tutto ciò che abbiamo fatto. La scuola era un terreno fertile per i musicisti. Ho ascoltato Hendrix, nel vero senso della parola. Ho conseguito il mio diploma e poi ho pensato alla possibilità di diventare un artista freelance. Ci ho provato. L'ho fatto per un paio di mesi, ma questo periodo mi è bastato per pensare "mio Dio, ne ho abbastanza". L'interesse non c'era. E l'aspetto musicale cresceva e cresceva, sempre di più. Alla fine ho detto "bene, prendo questa decisione, farò musica". Io sono una di quelle persone che crede nel fare le cose che davvero interessano. La musica è così interessante, mia cara.»
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Sei sempre stato un po' un artista?
 
«Beh, stare in scena mi riesce davvero bene. Ad essere onesto, in realtà mi riesce abbastanza facilmente esibirmi. Non mi ci vuole molto. Voglio dire, lo so che sembra presuntuoso, e ci sono tantissime battute d'arresto e un sacco di tensioni e nervosismo, ma non così tanto come una volta. Ora siamo degli headliners e sappiamo che le persone vengono a vedere noi. Essere stati una band di supporto è una delle esperienze più traumatiche della mia vita.»
 


Sì, sembra un dazio da pagare. Brian ha abbandonato durante il primo tour americano con l'epatite, e Freddie è stato afflitto da guai alle corde vocali.
 
«Ti dirò, sento i postumi del tour. Abbiamo finito il tour britannico ieri sera e mi sento come se avessi fatto una maratona ogni giorno. Ho lividi dappertutto. Poiché è la musica che conta, bisogna fare in modo da avere intorno le persone giuste a prendersi cura di te.»

 

E ora, per quanto riguarda il fantasma del vostro successo, avete notti insonni?
 
«Molto spesso ho incubi piuttosto strani - come l'altra notte, poco prima del concerto al Rainbow. Stavamo dormendo all'Holiday Inn e ho sognato di essere uscito sul balcone dell'hotel. Tutto è crollato, ed io ero spappolato sul marciapiedi. Davvero. Ero impietrito quando mi sono svegliato la mattina. E Roger ha avuto un incubo in cui beveva una bottiglia di Coca Cola, che gli cadeva e si ritrovava con tutte le schegge conficcate addosso. Sono ridicoli, lo so, ma cose del genere sono causate dalla tensione accumulata.»

 

Con tutta l'energia da mettere da parte per il tour in Europa e in America dei prossimi mesi, stai trovando il tempo per scrivere canzoni?
 
«Beh, a dire il vero non mi siedo al pianoforte e dico "bene, ora posso scrivere una canzone". Ho delle idee e sento alcune cose. È molto difficile da spiegare, ma ci sono sempre varie idee che mi frullano nella testa. Killer Queen è una canzone nata proprio nel mio modo solito di scrivere. Di solito la musica arriva per prima, ma stavolta c'erano fin dall'inizio le parole e lo stile sofisticato che avevo intenzione di dare alla canzone.
No, non ho mai realmente incontrato una donna così. Molte delle mie canzoni sono frutto della fantasia. Posso immaginare ogni tipo di cosa. Questo è il genere di mondo in cui vivo. È qualcosa di molto stravagante ed è il mio modo di scrivere. Mi piace moltissimo. Non c'è bisogno di soldi per dare l'aria di essere...»
, si ferma, come se avesse paura di rivelare troppo di sé. «Non so... qualcosa di estremo. Quella cosa dello showbiz di entrare in una stanza e fare in modo che la gente sappia che tu sei lì. Mi piace essere capace di lasciarmi andare. A volte la cosa ideale per un gruppo che ha successo... è quello di sfornare sempre la solita formula che ha già funzionato. Ma noi vogliamo progredire nel nostro campo.»
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Dovrete prendervi del tempo per scrivere nuove canzoni?
 
«Dipende. Nessuno sapeva che ci sarebbe stato detto di avere due settimane per scrivere Sheer Heart Attack, eppure è andata così... Era l'unica cosa che potessimo fare. Brian era in ospedale.»
 


Come ti senti ad essere così tanto sotto pressione?
 
«Beh, Killer Queen l'ho scritta in una notte. Non voglio essere presuntuoso o altro, ma tutto si è messo al suo posto da solo. Con alcune canzoni non va così. Ora, ad esempio per March Of The Black Queen c'è voluta una vita. Ho dovuto dare tutto, essere auto-indulgente o qualsiasi altra cosa utile a completarla. Ma con Killer Queen ho scarabocchiato le parole in quella notte buia di un sabato, e la mattina dopo ci siamo messi tutti insieme a lavorarci per l'intera giornata di domenica. È andata così. Si è materializzata ed è stato fantastico. Certe volte le cose vengono da sole, ma altre volte devi lavorarci. L'intera band è molto particolare. Non abbiamo mezze misure e sono molto duro con me stesso, senza compromessi. Se pensassi che una canzone non fosse buona, la scarterei volentieri. Sono molto introverso e delicato. Si può vedere che nei quadri che amo, pittori come Richard Dadd, Mucha e Dali, e mi piace Arthur Rackham.»


 
Sei sulla strada buona per diventare un grande sex symbol androgino. Che cosa si prova a sapere che ci sono migliaia di giovanotti e pulzelle là fuori che vogliono un pezzettino di te per se stessi?
 
«È una bellissima sensazione. Gioco sull'aspetto bisessuale perché è qualcosa di diverso, è divertente. Ma non metto quella parte di me stesso in pubblica piazza, perché l'ultima cosa che voglio è dare alla gente un'idea di quello che sono esattamente. Voglio che la gente abbia la propria interpretazione di me e della mia immagine. Non voglio costruire una cornice intorno a me e dire "questo è ciò che sono" oppure "questo è tutto quello che sono".
Ad essere sincero, vorrei che la gente non pensasse che io sia falso, perché quello che faccio è solo interpretare il mio personaggio. Penso che questo aspetto mistico, non conoscendo la verità su una persona, sia molto attraente. Farei un torto a me stesso se non mettessi il trucco solo per il semplice fatto che alcuni pensano che sia sbagliato. Anche parlare dell'essere gay poteva essere fastidioso e inaudito. Ma quei giorni sono passati. C'è un sacco di libertà al giorno d'oggi e si può esprimere se stessi comunque lo si desideri. Ma io non ho scelto questa immagine. Io sono me stesso e infatti per la metà del tempo mi lascio andare.
Non sono famoso per avere grandi amicizie gay, ma ─ ti dico ─ in questo mondo è molto difficile trovare degli amici, avere amici fedeli e di mantenerli nel tempo. Tra i miei amici ci sono un sacco di persone gay, un sacco di ragazze, e un sacco di VECCHI uomini. Con l'uomo che mi fa da autista abbiamo costruito un legame che è una specie di amore, e non mi interessa cosa pensa la gente di questo. Inquadrare le persone in categorie è ingiusto. Bisogna giudicare le persone per quello che sono.»
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Che tipo di persona sei?
 
«Mia cara, come ti aspetti che risponda a una domanda del genere?! Ci sono vari aspetti di me. La cosa che apprezzo di più, oltre soprattutto alla musica, è incontrare la gente. Mi piace essere socievole, andare alle cerimonie e altre cose, in generale; penso di essere piacevole. Ma posso cambiare, ed essere molto lunatico e antipatico. Sono una specie di camaleonte. Il successo mi sta insegnando molte cose, ed io mi ci sto adattando. Devi imparare a prendere delle decisioni molto rapidamente. Non c'è spazio per le chiacchiere in questo mondo.»
 


Pensi di  poter controllare lo sballo derivante dal successo?
 
«Stiamo cercando di controllarlo il più possibile. Bisogna fare in modo da aver sempre presente che non si è mai arrivati alla meta. Se ammetti con te stesso di avercela fatta, allora cominci a tornare indietro. Sento davvero che abbiamo molto di più da offrire. C'è tanto che possiamo ancora dare alla gente che ci aspetta nei negozi.»


 
Come ti senti riguardo l'etichetta da superstar?
 
«Onestamente, etichette del genere vanno e vengono nei nostri riguardi. Siamo stati etichettati in modi diversissimi e le etichette possono essere brutte così come possono essere buone. Sarebbe molto stupido prenderle sul serio. Nei primi tempi siamo stati etichettati come "campagna pubblicitaria". Questo ci ha offesi, ma non l'abbiamo preso sul serio, perché sapevamo cosa eravamo.»

 

Mi hai detto in precedenza che ami l'abbondanza. Ora che stai diventando un uomo molto ricco, che cosa hai intenzione di fare con i tuoi soldi?
 
«Spenderli, mia ​​cara! Io sono l'unico membro della band a non essere attaccato al denaro. Sono uno che non bada a spese per i vestiti e mi piace circondarmi di altre belle cose.»
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─ @claudiobadger
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