Simon Bradley è un giornalista musicale dal 1996. Ha scritto centinaia di articoli e interviste su tutti gli aspetti della chitarra. Ha collaborato con riviste e pagine internet del settore, fra cui Guitarist, Total Guitar, What Guitar?, Classic Rock, Metal Hammer, Future Music, MusicRadar.com, BrianMay.com e molte altre... |
Ti conosciamo come giornalista musicale, in particolare per il tuo lavoro sulla rivista Guitarist. Sei un autore del libro “Brian May’s Red Special”, edito da Carlton Books nel 2014.
Finalmente è disponibile anche in italiano da ottobre 2015, grazie a Tsunami Edizioni e alla magistrale traduzione di Raffaella Rolla, con il supporto tecnico di Angelo Malatesta.
Nella tua introduzione affermi di essere “un fedele fan dei Queen”. Qual è il tuo background musicale e in che modo ti sei appassionato per la prima volta alle nostre quattro “maestà”? Sei mai stato a qualche loro concerto?
Vengo da una famiglia appassionata di musica, ed io e i miei due fratelli più piccoli abbiamo beneficiato della passione dei nostri genitori per la musica classica. Ho preso lezioni di fagotto e pianoforte, a scuola, anche se non per molto (!), e ─ una volta entrato alla scuola media all’età di 12 anni ─ mi sono interessato sempre di più alla musica moderna. Ho conosciuto i Queen grazie a “Bohemian Rhapsody”. Io e i miei amici eravamo soliti inseguirci nel cortile della scuola urlandoci “Bismillah!”, perché avevamo visto il video così tante volte! Alla scuola media sono diventato amico di un ragazzo che aveva alcuni loro album, e gli ho chiesto se me prestava uno. Era “A Night At The Opera”, ed ho pensato che fosse molto bello, senza davvero capire il perché… Comunque, desideroso di adattarmi, comprai il nuovo album dei Queen in uscita e, dato che era il 1978, si trattava di “Jazz”. Ricordo di averlo messo su e di aver ascoltato “Mustapha” per la prima volta, e quando sentii quelle tre linee di chitarra discendenti fu come essere colpito da un martello! Allora non sapevo nemmeno che fosse una chitarra, ma ne fui completamente catturato. Subito dopo, comprai tutti gli album, anche se mi sono lasciato per ultimo “Sheer Heart Attack” perché non mi piaceva la copertina (!), e persi completamente la testa non solo per i Queen, ma per Brian. È piuttosto buffo, ma ricordo di aver fatto suonare “Hot Space” per la prima volta e di essere rimasto costernato; mi sentii quasi tradito dalla musica… Me la sono presa con Freddie per non aver lasciato suonare la chitarra a Brian (beh, ero un ragazzino a quei tempi…!), ed ascoltavo di continuo “Put Out the Fire” solo perché lì c’era la chitarra.
Avevo tutti i poster ed il merchandise su cui potevo mettere le mani. Li compravo nei negozi del posto: ero completamente pazzo dei Queen. Mi appassionai alla chitarra fin da allora, e guardavo sempre le foto della Red Special, immaginando come sarebbe stato suonarla. Come ogni chitarrista può confermare, devi avere una persona in particolare dalla quale sei maggiormente influenzato, e questa per me era Brian. E ancora lo è.
Sono stato membro della tribute band “Fat Bottomed Queens” per un po’; è stato molto divertente. Il cantante, Mark Dagger, impersona molto bene Freddie, ed eravamo abbastanza bravi. Usavo un amplificatore Matchless DC-30, perché l’AC30 era troppo potente per i posti in cui suonavamo. Il Matchless è un po’ più regolabile, ed è grandioso a volume più basso. Avevo un treble booster modificato da Greg Fryer, che lui stesso mi aveva regalato, ed una Red Special della Burns. Rock!
Nel 2001, ho fatto un’audizione per uno dei due posti da chitarrista nella produzione originale del musical “We Will Rock You”, ed arrivai tra i primi tre… Fu un’esperienza grandiosa, visto che l’audizione finale si svolse a casa di Roger Taylor. Dovevamo suonare con una band davanti a Brian ed al regista Mike Dixon, e ho rotto una corda! Ad essere onesti, ero talmente nervoso che ho rovinato tutto, ma sono contento di essere arrivato fino a quel punto.
Ho visto i Queen suonare dal vivo due volte: al National Exhibition Centre di Birmingham il 24 Novembre 1979, e poi ancora al National Exhibition Centre il 5 Dicembre 1980. La prima volta mi spaventai a morte! Il volume, le luci e le dimensioni della folla! Ma alla fine del 1980 ero stato ad altri concerti, e sapevo quindi cosa aspettarmi. Fu un’esperienza incredibile. Non ho staccato gli occhi da Brian per tutto lo spettacolo (anche se Freddie era il padrone del palco), e ricordo ancora il suo lungo assolo anche a 36 anni di distanza!
Non ho visto i Queen di recente, né con Paul né con Adam. Sebbene rispetti il diritto di Brian e Roger di continuare, li ho visti con Freddie, e tanto mi basta. E tutti gli haters che dicono che non dovrebbero continuare? Beh, se non vi piace, non andate ai loro concerti! Brian adora suonare, e quindi perché non dovrebbe continuare a farlo? Ma questa è solo una mia opinione.
Quando hai incontrato Brian May per la prima volta? C'è qualcuno che vi ha messi in contatto?
| Ho incontrato Brian May per la prima volta quando lo intervistammo per Guitarist Magazine nel 1998, nel momento in cui Greg Fryer era nel bel mezzo dell’opera di restauro della Red Special: la chitarra era completamente a pezzi. Il tempo per me scorreva in una sorta di foschia e fui nervoso per tutto il tempo, ma lui fu molto cordiale e l’intervista andò bene. Fu l’occasione in cui incontrai anche Pete Malandrone, al quale sono altrettanto grato! Un anno dopo, e grazie alla mia amicizia con Pete, sono riuscito a prenotare 45 minuti per Brian a un’expo che la casa madre di Guitarist Magazine aveva organizzato a Londra presso il Wembley Conference Centre. Lui arrivò e parlò davanti ad un pubblico di oltre 1000 persone. Fu grandioso, e suonò anche (il video qui a lato). Ho dovuto aver a che fare con Jim Beach, ed è stato avvilente. Ma penso fu allora che Brian si rese conto che fossi un tipo a posto, e poteva avere fiducia nel fatto che l’avrei trattato correttamente, mantenendo la parola data. Fu anche l’occasione in cui suonai la Red Special per la prima volta… |
Come tu stesso affermi, Pete Malandrone è il braccio destro di Brian May. Deve esserci un rapporto davvero speciale fra loro, visto che il Dr May gli affida il proprio Oggetto (con la “O” maiuscola) più prezioso. Qual è stato il ruolo di Pete Malandrone nella stesura del libro?
Il libro non sarebbe esistito senza Pete. Come ho detto, siamo buoni amici e posso sempre mettermi in contatto con lui, come anche lui con me, per qualsiasi cosa. Lui è stato il primo che ho chiamato, per quanto riguarda il libro, e tutto è iniziato da lì.
Quando mi disse che Brian aveva conservato tutti i disegni originali ed i progetti della chitarra ─ che aveva ancora i ritagli di mogano utilizzati per il manico, ed alcuni dei bottoni originali in madreperla usati per i segnatasti ─ sapevo che sarebbe risultato qualcosa di veramente speciale. E così è stato!
Il suo rapporto con Brian è davvero buono, dato che lui è direttamente responsabile nell’assicurarsi che Brian possa salire sul palco o andare in studio senza avere problemi con le attrezzature. Il loro rapporto è tutto basato sulla fiducia, e Brian si fida di Pete al 100%. Nel libro, Pete parla di come sia “occuparsi della Red Special”, e infatti prende la cosa molto seriamente. L’attrezzatura di Brian semplice solo all’apparenza, ma ha bisogno di una regolare manutenzione, e Pete è l’uomo giusto per questo incarico.
Conosciamo Brian non solo come mito della chitarra e come fondatore dei Queen. Ma è anche una persona impegnatissima nel sociale, piena di passioni che continua a coltivare e impegni di ogni tipo. Com’è stato collaborare con lui per il libro, specialmente in un periodo in cui è tanto attivo su più fronti? Sappiamo che Brian è un perfezionista, e che gli piace avere tutto sotto controllo. Ti sei mai sentito sotto pressione durante la stesura del libro, o hai avuto una certa libertà di azione?
Brian è stato coinvolto nel libro sin dall’inizio, e ogni cosa che facevamo era sottoposta al suo controllo. Questa è una delle ragioni per cui il libro ci ha messo così tanto per essere completato, perché Brian doveva vedere ed approvare ogni cosa che facevamo; giustamente, devo dire. Ho avuto molti scambi di e-mail con lui su diversi argomenti mentre procedevamo, come anche incontri faccia a faccia per rifinire e migliorare i concetti base e le idee che avevo sul libro. Avevo il permesso di richiedere del tempo con lui nel caso ne avessi avuto bisogno. Ma ero ben consapevole di quanto la sua agenda fosse fitta di appuntamenti, quindi ho cercato di limitare al massimo queste richieste di incontro. Inoltre, Pete era spesso in grado di aiutarmi con la maggior parte delle richieste che avevo.
Dovevo darmi in continuazione dei pizzicotti, perché star seduto nella stessa stanza con il mio mito della chitarra o parlare con la Red Special che ci “guardava” da uno stand dietro di noi era davvero qualcosa di pazzesco. Ma, essendo un giornalista musicale da tanto tempo, so come comportarmi in presenza di artisti di quella statura, e non è stato un compito ingrato.
Pressione? Solo quando si avvicinavano delle scadenze che non potevamo procrastinare, e iniziava ad essere stressante… verso la fine. Comunque, ogni pubblicazione ha questo tipo di “inconvenienti”, ed ho amato ogni secondo speso sul libro della Red Special.
Ci sono voluti davvero tre anni per scrivere il libro? Chi è stato ad avere l’idea finale per il concept?
Ci sono voluti tre anni, sì! In verità, dalla prima telefonata che ho fatto a Pete alla data di pubblicazione sono passati ben più di tre anni… Ciò fu dovuto alla disponibilità di Brian, in effetti, così come alla mole di questo lavoro. Ma ne eravamo ben consapevoli ancor prima di iniziare.
Tutto è cominciato quando ho visto una copia del libro che il tecnico di David Gilmour, Phil Taylor, scrisse sulla Fender Strat nera di David. Sebbene fosse interessante, sentivo che quella produzione non esprimeva tutto il suo potenziale. Stando all’introduzione del libro, nemmeno a David sembrava importare molto. Ciò mi portò a pensare a quanto grandioso sarebbe stato un libro simile sulla Red Special, perché sapevo che Brian si sarebbe appassionato all’idea. Come disse qualche volta, aveva in mente da anni di scrivere un libro sulla Red Special, ed io sono stato fortunato a rivolgermi a lui nel momento giusto. Brian aveva fiducia in me per la riuscita del lavoro ed è andato tutto bene. È stato un lavoro duro e dovevo essere sicuro al 100% del fatto mio, ma le cose hanno funzionato, e siamo tutti felici del prodotto finito. So che anche Brian lo è.
Voglio essere sicuro che voi ragazzi sappiate che, anche se il mio nome è sulla copertina insieme a quello di Brian, è stato un lavoro di squadra, assolutamente, ed il libro sarebbe morto in breve tempo ed in silenzio senza l’aiuto e la guida di persone del calibro di Pete, Richard Gray, Denis Pellerin, Andy Guyton, Nigel Knight, Roland Hall e Greg Brooks, senza contare le persone dell’ufficio di Brian. Io sono arrivato con una prima bozza del libro – la lista dei capitoli, gli argomenti da trattare, e così via – ma se non fosse stato per il team, e per Brian (che continuamente e costantemente rifiniva ciò che stavo facendo) sarebbe venuto fuori un libro molto diverso e senza dubbio inferiore. La mia idea iniziale era di scrivere un libro molto tecnico senza nessun riferimento personale o alla famiglia: immaginate quanto sarebbe stato noioso!
A proposito di riferimenti alla vita familiare, la geniale poliedricità di Harold May stupisce chiunque legga i racconti di suo figlio Brian. C’è qualche altro aneddoto che puoi raccontarci riguardo il suo adorato padre, oltre a quanto è stato incluso nel libro?
È un argomento privato e preferirei non parlarne, ma era palese durante tutto il processo di realizzazione del libro che Brian fosse molto legato ad entrambi i genitori.
In questo progetto hai collaborato anche con Greg Brooks, l’archivista dei Queen. Ci racconti le tue sensazioni da fan, sapendo che parlavi con l’archivio vivente dei Queen? Sei entrato in contatto con rarità inedite collaborando con Greg?
Il sapere di Greg è assurdo (in senso buono!), e ha dato una mano in tante cose, non ultimo mettere le didascalie alle foto con le date corrette. Ho attinto molto dal suo libro “Queen Live!” durante le mie ricerche; è così dettagliato. È un bravo ragazzo.
Da sempre, e anche nel libro, Brian fa menzione di innumerevoli artisti come influenza musicale, fin dalla sua adolescenza. Secondo te, avendoci parlato direttamente e visto le sue espressioni mentre dice le cose, quale può essere la sua maggiore influenza musicale? Uno su tutti…
Jimi Hendrix, senza dubbio! Nel libro Brian parla molto dell’influenza che ha avuto su di lui, ovviamente, ma tutte le volte che abbiamo parlato di Hendrix, lui si illuminava nel parlare di come era e che effetto ha avuto il suo modo di suonare. Anche Rory Gallagher, Hank Marvin e George Formby, ma soprattutto Jimi.
Ti ha parlato delle emozioni che ha potuto provare nel suonare sullo stesso palco la stessa sera di Jimi Hendrix?
Non con me, ma l’ha fatto in qualche intervista che ha rilasciato. Ad ogni modo provate a immaginare la vostra band che suona con Hendrix… Wow…!
Hai menzionato Rory Gallagher. Di fatto non tutti i chitarristi sono in grado di sfruttare le caratteristiche degli amplificatori Vox. Brian è conosciuto per essere utilizzatore del modello AC30. Pensi che durante la propria carriera lui abbia mai valutato (o anche solo apprezzato le caratteristiche) di un altro costruttore? In una vecchia foto nel libro lo vediamo su un palco con un Burns Orbit, prima di adottare i Vox…
Avendo suonato con numerosi AC30, non solo quelli per Guitarist Magazine ma anche alcuni di Brian, riesco a capire perché lui ami così tanto il loro sound. Ma ─ hey! ─ sono troppo corposi [nel sound, ndr]! Devono suonare alla potenza caratteristica degli amplificatori valvolari, ma è una grande esperienza stare davanti a tre AC30 che suonano a tutto volume.
Per quanto ne sappia, lui non ha mai valutato seriamente di usare nient’altro. So che nel corso degli anni alcune ditte hanno preso contatti con lui per fargli usare i propri amplificatori, ma non credo che cambierà mai, tantomeno adesso.
La verità è che niente suona come Brian, a meno che ci sia una Red Special dotata di treble booster collegata ad un AC30 che pompa a tutto volume. Oh, e ovviamente devi avere anche un sixpence.
Hai avuto modo di ascoltare qualche registrazione amatoriale dei primi vagiti della Red Special? Brian stesso afferma di averne qualcuna conservata da qualche parte.
Non ho avuto modo di ascoltarli, purtroppo. Non sono neanche tanto sicuro che queste registrazioni siano state effettivamente trovate nell’archivio di Brian. Chiederò a Pete!
Parlando della sua meravigliosa chitarra, Brian ha raccontato nel libro la vera origine dei suoi nomi, “Red Special” e “Old Lady”. Quest’ultimo proviene dal primo tecnico delle chitarre con cui ha collaborato, il quale ha paragonato il proprio lavoro al prendersi cura di una moglie! C’è qualcosa ancora che puoi raccontare su questo loro matrimonio cha dura da oltre 50 anni?
Beh, attualmente la chitarra è davvero una parte di lui. Ci sono talmente tante belle repliche in circolazione oggigiorno – Guyton, Brian May Super, KZ, Fryer e così via – che lui potrebbe benissimo ritirare la Red Special originale, così non rischierebbe mai più di danneggiarla o smarrirla. Ma Pete ed io abbiamo fatto diversi sound test nel corso degli anni, dove è stato comparato il suono della Red Special con l’una o l’altra delle repliche, ma non sono la stessa cosa. Scusate! …è un terribile cliché, ma quella chitarra ha davvero qualcosa di magico [“a kind of magic” in lingua originale, ndt].
È vero che qualche volta Brian ha dormito con la Red Special, come disse in una video-intervista degli anni ’90?
Beh, sono sicuro che al momento non lo fa! Ma se ha detto di averlo fatto, allora è vero. È divertente. Tutte le volte che mettevamo la Red Special fuori dalla sua custodia per verificare un dettaglio o altro, stavamo tutti zitti e la guardavamo con soggezione. Poi arrivava Brian e l’afferrava, la metteva su un tavolo, o l’appoggiava contro una sedia o altro. Avevo un incubo ricorrente: di farla cadere o che la danneggiavo in qualche maniera… Terribile!
Ti crediamo, è pazzesco!
Sempre in merito al rapporto unico che ha Brian con la Red Special, c’è qualcosa in più che è trasparito delle sue sensazioni nel vederla smontata nel gennaio 1998, quando ha commissionato al liutaio australiano Greg Fryer una revisione straordinaria? Stava completando il suo album Another World; era preoccupato di vedere la Old Lady in pezzi, visto che sarebbe poi dovuto andare anche in tour?
Come raccontavo all’inizio, ebbi modo di parlare con lui durante quel periodo, e credo che fosse più interessato che preoccupato. Greg è un genio assoluto – quasi uno scienziato pazzo! – e quindi la chitarra era in buone mani; Brian aveva completa fiducia in lui. Sapeva quanto tempo aveva a disposizione e ha fatto un lavoro fantastico, come tutti sappiamo.
Credo che Brian fosse un po’ più in ansia quando abbiamo smontato la chitarra per il libro, ma lo ammirerò sempre per averci permesso di farlo. Mi venne quasi subito l’idea di smontare la Red Special, metterla a nudo e fotografarla in ogni suo dettaglio, e sapevo che sarebbe stato l’elemento centrale del libro. Nemmeno Pete era sicuro che Brian avrebbe dato il suo benestare, ma gli sottoposi l’idea durante un incontro e lui disse di sì senza indugio.
Una parola per i miei amici Andrew Guyton e Nigel Knight, che ha avuto il compito di smontarla e ─ anche più importante ─ rimetterla di nuovo tutta insieme. Fu un gran giorno per me, ma quei ragazzi (e Pete!) erano leggermente in apprensione, per non dire altro… Non c’è bisogno di dire che andò tutto bene, e sono davvero contento di poter mostrare tutto questo a chiunque legga il libro.
Non sono completamente sicuro della storia, ma so che per fare la radiografia alla chitarra hanno usato il macchinario ospedaliero per la risonanza magnetica, e ha svelato dettagli riguardo la sua costruzione di cui perfino Brian s’era dimenticato. Sono belle, vero?
Sì! Sono di assoluto effetto.
Sì, la chitarra è più pesante sul lato della tastiera a causa della leggerezza del corpo cavo in contrapposizione al peso del manico in puro mogano. Ma questo non ha effetti su come suona quando è a tracolla. È una chitarra insolita da suonare a causa della scala ridotta, ed anche per la ridottissima distanza delle corde dalla tastiera. Il manico è ampio, come tutti sappiamo, ed i tasti sono intaccati e un po’ malconci, però mi stupisce ancora come siano riusciti a progettarla tanto bene.
Il vibrato è perfettamente bilanciato, grazie all’esclusivo design a lama di coltello dei May, e la chitarra rimane sempre perfettamente accordata. Da vicino si può vedere che ha ricevuto qualche colpo ma funziona ancora, così come funzionava nel 1964, ed è davvero sorprendente considerando tutto quello che ha passato.
Il libro La Red Special di Brian May è bellissimo, perché è un insieme di dettagli tecnici e umani. C’è dentro la storia di questo magnifico strumento, raccontata con le parole dello stesso Brian che l’ha costruita. Ovviamente, la vita della chitarra si incrocia di continuo con il percorso dei Queen. Durante un concerto a East Rutherford del 1982 nel New Jersey, Brian May spaccò letteralmente in pezzi la replica John Birch (quella più conosciuta per i video di We Will Rock You e Spread Your Wings dei Queen). Subito dopo ha detto al pubblico che quella sera avrebbe potuto spaccare tutte le chitarre che aveva. Non credo che potesse accadere effettivamente alla Red Special. Abbiamo realizzato un resoconto su questo, con le fonti a nostra disposizione. Brian ti ha raccontato altri dettagli di quella situazione? Ci sono aneddoti della Red Special nei Queen che conosci e che non sono riportati nel libro?
Abbiamo toccato questo argomento durante le nostre chiacchierate, e lui mi ha confermato che è realmente accaduto. A quanto pare, Brian ruppe una corda della Red Special durante una canzone, così ha afferrato la John Birch e quasi subito ha rotto una corda anche lì, e si è sentito talmente frustrato da scagliare la chitarra dietro di sé. Suppongo che ognuno di noi si senta stressato di tanto in tanto, e ognuno di noi reagisce in modo diverso, ma non riesco proprio ad immaginarlo fare la stessa cosa alla Red Special.
Brian possiede ancora la John Birch, e io l’ho suonata. È una vera bestia, e non si avvicina neanche lontanamente alla Red Special, quindi io sto dalla parte di Brian!
Non ne sono sicuro. So che ha amato sia il fatto di suonare al Live Aid che l’effetto di questo evento sui Queen; li ha rinvigoriti. E anche, come descritto nel libro, quando ha portato i suoi genitori a vedere i Queen al Madison Square Garden di New York. Conserva ancora delle piccole mappe dei tour che suo padre era solito disegnare – ne abbiamo messa una nel libro – ed un sacco di foto scattate da sua madre durante quella visita. Un periodo molto speciale per la sua famiglia.
Credo che l’unica cosa che probabilmente ami più di tutto è la musica che sia i Queen che lui come solista hanno realizzato.
Ma certo! Guitarist Magazine una volta fece anche uno speciale incentrato sulle altre sue attrezzature. Così mettemmo le mani sulla Burns elettrica a 12 corde con cui suonò “Long Away”, la 12 corde Ovation usata sul palco per “Love Of My Life”, ed anche la Tokai acustica usata in studio per suonare l’intro di “Love Of My Life”. C’era anche la Fender Telecaster nera di “Crazy Little Thing”, la John Birch, e addirittura la chitarra-teschio del video di “It’s A Hard Life”. Brian ha conservato tutte queste cose, e tra di esse c’era il banjolele. L’ha usato sia in studio che sul palco per suonare “Bring Back That Leroy Brown”, ed ho avuto modo di strimpellarci un po’. Il ponte è puntellato con dei sixpence, il che è divertente! Il link di parte della storia è qui sotto:
www.musicradar.com/guitarist/brian-mays-other-equipment
Se dovessi sceglierne una, opterei per la Guyton Green Special, semplicemente perché conosco molto bene Andrew Guyton e so quanto impegno mette in ogni chitarra che costruisce. Detto questo, la double-neck è altrettanto speciale! Stessa cosa per la Fryer...
Barry Moorhouse (che fa parte di BMG) e Pete si parlano regolarmente, quindi non sarei per niente sorpreso. Le chitarre BMG hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo, e sono il modo migliore per iniziare a ricercare il sound di Brian May. Poi, ovviamente, devi aggiungere quindici AC30, un treble booster e un minimo di talento!
Beh, come tutti sanno, è un uomo molto intelligente e si immerge nelle cose con il 100% di concentrazione ed con una dedizione assoluta. È impegnato come non mai, ma continua lo stesso a fare le cose più disparate: musica, difesa degli animali, stereoscopia, e tante altre cose. È ammirevole per un uomo nella sua posizione e della sua levatura. Se fosse per me, me ne starei sulla spiaggia! Non è “normale”? Beh, sicuramente è unico!
È davvero una persona incredibile!
Ho un paio di altre idee per dei libri, ma per il momento è meglio tenerle nel cassetto. Non c’è stata alcuna discussione riguardo un altro libro… Non ancora! Non credo che sarei all’altezza di un libro sui Queen, anche perché credo che non sia rimasto molto altro da raccontare. Con Freddie che non è più con noi e John fuori dai giochi, non so cos’altro ci sia da dire. Come fan sarei tentato di lasciar perdere, ma i libri sui Queen sembrano vendere sempre bene, quindi chissà…
Sul canale YouTube di Guitarist magazine hai pubblicato un paio di tutorial/review. Pensi di farne in futuro uno per la Red Special o, ovviamente, per una sua replica?
Sì, nel corso degli anni devo aver fatto un centinaio di video per Guitarist Magazine. Così pare, comunque… Un demo o due con la Red Special? Restate sintonizzati…
Certamente! Non vediamo l’ora. Ti piacerebbe in futuro lavorare al progetto di documentario ufficiale su Brian May, del tipo di "Under Review - 1973 / 1980"?
Certamente. Lui è molto di più del “Brian May dei Queen”, e credo che sia una storia che valga la pena di raccontare. La domanda è se lui sia interessato a questa cosa… Forse. Ritengo “Days Of Our Lives” il miglior documentario finora realizzato sui Queen, per cui dovrebbe essere almeno a quel livello. Inutile dire che non dipende da me, ma se non altro mi piacerebbe vederlo!
Sì, sono stato nel vostro bellissimo Paese molte volte. Ho visitato Roma e Venezia, e sono stato anche a sciare a Bardonecchia, a ovest di Torino. Il clima è bellissimo, e il cibo è anche meglio! Mia moglie ed io abbiamo mangiato una pizza a Roma in un posticino talmente delizioso che ne parliamo ancora oggi.
Grazie mille Simon per la tua gentilezza e la tua resistenza nel rispondere a queste domande. È stato un vero piacere per noi.
Un ringraziamento speciale dalla Comunità Queeniana Italiana anche al management e allo staff di Brian May, per averci dato il privilegio di questa intervista esclusiva.
Simon, speriamo di rivederti presto qui nel nostro paese.
Crediti:
- Barbara Mucci: domande e traduzione italiano-inglese / inglese-italiano
- Claudio Tassone: supervisione, domande, riferimenti internet e web mastering
- Leonardo Pelz: domande
- Raffaella Rolla: supporto e consulenza
- Simon Bradley: risposte, verifiche e riferimenti internet