Per tutti era l'esuberante frontman dei Queen, ma come lo ricorda sua madre?
di Tim Teeman, dal The Times del 2 settembre 2006
Traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana
«Era un evento davvero immenso, sarebbe stato troppo complicato», ricorda Jer. «Quindi lo seguimmo in televisione. Ero molto orgogliosa. Mio marito si voltò verso di me e disse "Il nostro ragazzo ce l'ha fatta"».
È difficile inquadrare la straripante ed autorevole presenza scenica di Mercury nel contesto della piccola casetta di periferia a Nottingham dove vive adesso Jer, mantenuta in modo immacolato. La chiamano "Fredmira”, combinando i nomi dei suoi due figli, Freddie e Kashmira. Con i suoi cuscini gonfi, i rintocchi dell'orologio da viaggio e le decorazioni neutre, non è il genere di posto in cui ci si aspetti che vi abiti la madre di un dio del rock.
Eppure eccolo lì, il suo amatissimo Freddie, in una serie di istantanee dai propri video, bellissimo e idolatrato. Con le sue labbra e un ampio sorriso, la minuta Jer somiglia un sacco al suo figliolo.
Nell'angolo c'è una statuetta che commemora il suo ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame. Appeco al muro c'è un dipinto con due cavalli che lui stesso ha realizzato a 14 ─ uno nero e l'altro bianco.
La vita di Mercury era un gioco di contrasti. Era un mega-showman cartonesco che cantava a squacriagola inni come Radio Ga Ga e la più famosa Bohemian Rhapsody. Ma era anche fieramente riservato e pacato. Organizzava feste immense e folli (alle quali c'erano nani che servivano cocaina, tanto per tenere fede alle voci), eppure se si trovava nel Regno Unito andava a trovare la sua mamma una volta a settimana per assaporare il suo piatto preferito (il dhansak [un popolare piatto indiano, ndt]) e per parlare di “normali cose di famiglia”. Nel 1974 disse al New Musical Express di essere “gay come un narciso”, ma questo svaniva alla vista del pubblico.
Era una celebrità vecchio stile, che avvolgeva volontariamente sè stesso nel mistero.
Poi, il 23 novembre 1991, Mercury Then on November 23, 1991, Mercury rilasciò questa dichiarazione:
«A seguito dell'enorme congettura sulla stampa, vorrei confermare che sono risultato positivo al virus dell'HIV e che ho l'AIDS. Mi è sembrato corretto mantenere questa informazione privata fino ad oggi al fine di proteggere la privacy di chi mi circonda. Tuttavia è giunto il momento in cui i miei amici e i fan di tutto il mondo conoscano verità. Spero che tutti si uniranno a me, ai miei dottori e a tutti coloro che nel mondo combattono contro questa terribile malattia. La mia privacy è sempre stata molto speciale per me e io sono noto per le mie poche interviste. Vi prego di comprendere il fatto che questa politica continuerà».
Il giorno successivo, Mercury è morto per una broncopolmonite conseguente all'AIDS.
Giovedì avrebbe compiuto 60 anni e l'occorrenza è stata rimarcata da una serie di eventi: una giornata-tributo a Montreux ─ dove ha vissuto e c'è una sua statua in bronzo ─, una mostra fotografica a Londra e un documentario di ITV che esamina la sua vita e quello che ha lasciato al mondo.
Come suo figlio, Jer concede raramente interviste, ma vuole che lui venga «ricordato e celebrato». Stringe un fazzoletto per tutta la durata della conversazione. Con lei c'è Roger Cooke, il marito di Kashmira.
Mercury è nato a Zanzibar come Farrokh Bulsara in un appartamento con vista sul mare, «una vita agiata» dice Jer (83 anni). Ci dice che da ragazzo, Farrokh era felicissimo e amava la musica: il folk, l'opera e la classica.
Si separarono quando aveva 8 anni e lo mandarono in un collegio in India. Jer ricorda: «Ho pianto quando lo lasciammo, ma lui si aggregò con gli altri ragazzi».
Lì adottò il nome Freddie (i ragazzi erano soliti darsi dei nomi cristiani in "inglese") e formò una band, gli Hectics.
Jer insiste con i suoi modi pacati nel dire che suo figlio non era un ribelle, «Ma ha sempre voluto diventare un uomo di spettacolo».
Nel 1964 si verifica una rivoluzione a Zanzibar e la famiglia si trasferisce in Inghilterra, stabilendosi a Feltham, nel West London. «Freddie era molto emozionato: "Mamma, è l'Inghilterra il posto in cui dovremmo andare". Ma è stato molto difficile». Bomi prese lavoro come tesoriere, mentre Jer come assistente da Marks & Spencer [una multinazionale britannica che si occupa di vendita al dettaglio, ndt].
Freddie andò a scuola d'arte. «Gli dissi "Cosa farai, figlio mio?" e lui rispose che non lo sapeva. Lo ricordo mentre compilava moduli di ricerca lavoro e dire "Spero di non essere preso". Si entusiasmava guardando Elvis in TV: "Un giorno diventerò come lui"».
Ha bazzicato nella scena musicale cambiando il proprio cognome in Mercury, come il suo pianeta astrologicamente dominante.
I Queen si formarono nei primi anni '70. Jer ricorda di essere andata al loro primo concerto: «La mamma di Brian May ed io ci chiedevamo "Ce la faranno?". Quella sera pensai "Sì"», sebbene abbia continuato a lavorare da M&S per qualche tempo anche dopo che suo figlio diventò famoso.
«È ciò che un performer deve fare per accontentare il pubblico», dice lei.
Le feste? L'edonismo?
«Da genitore ci si preoccupa, ma di deve lasciare che i propri figli vivano la propria vita».
Ad un tratto Roger dice: «Freddie ha mantenuto la propria vita divisa per compartimenti: il lavoro, la sfera sociale, noi. Non li mescolava molto».
Jer aggiunge: «Ha sempre rispettato la sua famiglia e ci amava tantissimo».
Se sapeva che fosse gay? Glie lo aveva confidato?
Lei stringe ben in alto il proprio fazzoletto e dice «No. Quello era un terreno troppo sensibile».
Prende la parola Roger, e aggiunge che Mercury non era mai uscito allo scoperto con la propria famiglia.
Ma più tardi, dopo essersi calmata, Jer dice che a Freddie non importava che la gente scoprisse che era gay e che non gli interessava cosa avrebbero pensato di lui le persone. Però si preoccupava abbastanza da non dirlo apertamente?
Jer risponde: «All'epoca la società era diversa. Ai nostri giorni è tutto più libero, non è così?». Jer pensa che se oggi fosse ancora vivo, anche Mercury sarebbe aoperto maggiormente.
Roger ritiene che Mercury si preoccupasse del fatto che dichiarare pubblicamente la propria omosessualità potesse avere un impatto negativo sulla vendita di dischi, anche se era riservato per natura. «Il suo atteggiamento era "Il business è la mia vita". La differenza è che era riservato, non timido». Jer aggiunge: «Non voleva turbarci».
«Non penso che fosse fatto per la famiglia», dice Roger. «Gli piaceva stare con gente di diverso tipo».
Jer chiarisce: «Quando veniva a casa era semplicemente Freddie». E Roger rincara aggiungendo che era umile: «Quando penso a Freddie mi viene in mente la canzone degli Eagles Life’s Been Good: "Sono difficili da gestire / questa fama e questa fortuna / Sono tutti molto cambiati / Ma io non sono cambiato”».
Cosa pensa della sua malattia? Nel suo libro Mercury and Me, Jim Hutton ─ il compagno di Mercury nei suoi ultimi sei anni di vita ─ afferma che Mercury venne diagnosticato positivo nel 1987. Jer, ancora una volta visibilmente molto turbata, guarda nel vuoto.
A questo punto interviene Roger, e dice: «Non l'ha detto a nessuno della famiglia. Ci rendemmo conto gradualmente che aveva una malattia, ma non avevamo idea di cosa si trattasse e di quanto fosse grave. Poi, nell'agosto del 1990, io e Kash vedemmo una ferita sul suo piede. Era il sarcoma di Kaposi [un tumore maligno dei tessuti connettivi, spesso associato all'AIDS, ndr]. Kash domandò cosa fosse e se sarebbe guarito. Freddie disse: "Dovete capire che quello che ho è un male terminale. Morirò": Solo questo. Non disse che era l'AIDS. Non lo comprendemmo immediatamente. Stavamo tornando verso casa e misi una cassetta. Fra tutto quello che poteva esserci, si sentì la sua voce cantare Who Wants to Live Forever? Improvvisamente capimmo il significato di quello che aveva detto».
Cosa deve aver provato in senso autocritico del fatto di non essersi comportato diversamente, di non essersi dichiarato e non aver confidato di avere l'AIDS?
Secondo Roger «Deve aver pensato "Che si f****no! Non sono affari loro!". Soltanto il suo manager Jim Beach lo convinse a pubblicare una dichiarazione». Jer aggiunge con pacatezza: «Voleva che il mondo e i suoi fan conoscessero la verità».
Mercury una volta disse a sua madre che si sarebbe potuto ritirare dedicandosi alla pittura. «Ridemmo davvero e gli dicemmo che non glie lo avremmo lasciato fare. Pensavamo che sarebbe andato avanti per sempre».
L'ultima volta che Roger l'ha visto, parlava di «cose normali, non di certo della malattia». Fissava nell'acqua del laghetto nel suo giardino giapponese.
Jer dice con calma che l'ultima volta ha visto suo figlio è stata «molto emozionale, molto difficile. Domandò "State tutti bene? Qualcuno dei media vi ha infastiditi?". Rispondemmo "Non preoccuparti di noi, caro. Era molto malato e ancora era tanto premuroso».
Dopo la sua morte ci furono molte storie sui tabloid, inclusa l'accusa di aver nascosto le proprie origini indiane. «Ma Freddie non era indiano», dice Roger. «Era parsi. I parsi si stabilirono in India e vennero gradualmente assorbiti in quella cultura allo stesso modo in cui gli ebrei si assimilarono nelle altra culture e negli altri paesi. Infatti i parsi erano noti come "gli ebrei dell'India"».
Però non ne parlò mai?
Roger risponde che «Per Freddie il passato era passato. Voleva parlare solamente del futuro».
Le canzoni di Mercury che passano alla radio, dice Jer, «a volte mi rendono emotiva». La sua preferita è Somebody To Love. Ascoltare la sua voce soave è difficile, poichè sembra davvero "lui".
Bomi è morto tre anni fa «lasciando un grande vuoto», ma Jer si mantiene impegnata ed è abituata ad essere riconosciuta per strada e al supermercato. L'altro giorno un uomo le ha detto: «È bello vederti, hai un buon aspetto».
Ha superato la cosa più difficile per un genitore: vivere mentre suo figlio non c'è più. E resta tanto protettiva nei suoi confronti quanto lui lo era verso di lei. Dice che una delle cose che la fa andare avanti sono le lettere che riceve dalla gente (indirizzate a La madre di Freddie Mercury, Nottingham) nelle quali spiegano il significato delle sue canzoni per loro. Se ora fosse vivo, pensa che avrebbe composto opere rock.
Una volta disse in un'intervista che avrebbe preferito andare all'inferno piuttosto che in paradiso: «Pensa a quanta gente interessante si può incontrare laggiù».
Jer mantiene ancora stretto il fazzoletto mentre io me ne vado. Ma è tutt'altro che abbattuta o sola. Ride allegramente quando immaginiamo come avrebbe festeggiato il proprio 60° compleanno Mercury (probabilmente in modo dissoluto). C'è una grande differenza fra Zanzibar e Nottingham, ma ─ come il suo adorato figlio che non c'è più ─ Jer Bulsara si è gustata questo incredibile viaggio.