QUEEN, QUESTI ARISTOCRATICI Concerti completamente esauriti quelli dei Queen al Santa Monica Civic: l'arte di Freddie Mercury & Co. ha finito per conquistare il pubblico americano Da Ciao 2001 n.15 del 18 aprile 1976, di Armando Gallo Scansioni stampa: Norberto Fedele Trascrizione di Barbara Mucci per Comunità Queeniana Italiana |
Non era ancora successo niente, ma lo spettacolo era già iniziato… Cinque minuti più tardi le luci della sala si spengono improvvisamente – non si affievoliscono come sempre succede, ma in una frazione di secondo il Civic Auditorium è completamente a buio. Gli occhi sono puntati sul palcoscenico dove alcune ombre e sagome umane si muovono in una fievolissima luce blu. Il boato della platea aumenta di intensità e, quando dopo circa un minuto raggiunge il massimo, alla sinistra del palcoscenico una luce bianca illumina un siparietto bianco dove vi è riflessa la “silhouette of… Scaramouche”, l’ombra immobile di Freddy Mercury che conduce la quarta strofa di “Bohemian Rhapsody”. È la parte del brano dove i Queen hanno ricreato in studio ceri cori pucciniani e l’intera sezione del brano viene eseguito in “playback” con l’ombra contro il siparietto e il palco ancora buio. Alla quinta strofa due bombe fumogene esplodono al centro del palco, il complesso entra “live”, il siparietto vola e sparisce in alto mentre un centinaio di fari bianchi, gialli, rossi, verdi, blu e rosa presentano il complesso in una nuvola di fumo colorato: “So you think you can stone me and spit in my eye” canta Freddy Mercury (Così pensi che mi puoi tirar pietre e sputarmi negli occhi) e la platea, impazzisce ed è in piedi ed alza le braccia e strilla il nome di “Queen-Queen… We love you!”. Tutto, ogni piccola cosa è curata nei minimi particolari: l’impianto è stupendamente limpido, i suoni missati alla perfezione, le luci meravigliose – tutto è semplicemente perfetto. Sono tra le file della stampa e molta gente è arrivata con il tipico atteggiamento di “Beh, vediamo un po’ se questi Queen sono veri…”. Freddy Mercury pensa a risolvere questi ultimi dubbi avanzando verso l’orlo del palco con passo sicuro ed elegante e ci uccide con un: “Buona sera, miei tesori – Good evening, my darlings!” saluta con tono aristocratico.
È l’attore, l’eroe, il Principe amato dal popolo, un nobile Scaramouche con la platea ai suoi piedi che ci regala “Sweet Lady”, il secondo brano della serata. La foschia del fumo rimasto a mezz’aria e il magnifico giuoco di luci ci trasforma il palco in un enorme specchio antico. Le immagini che vediamo dentro sembrano un trucco cinematografico… ogni tanto Mercury avanza su una piccola passerella che invade l’orlo della platea ed è come se uscisse fuori dal gigantesco specchio… c’è una cascata di colori creata dalle tre file orizzontali di fari in fondo al palco: dall’alto in basso le tre file si accendono ad intermittenza ed il giuoco ci ipnotizza… come un Mago di Fantasyland, Mercury fa esplodere brillantissime luci bianche con eleganti mosse della mano destra e sinistra.
…Mercury, Taylor e Deacon hanno lasciato il chitarrista Brian May da solo in palco dove si sta esibendo nel famoso “solo” di “Brighton Rock”: distorsore, eco, ripetitore, ma anche qui tutto è usato con ingegnosa sottigliezza. May si sposta verso la passerella al centro del palco, i fari rossi, blu e verdi si affievoliscono mentre dal pavimento girano due grossi fari di luce bianca. Quasi ci accecano, ma nella nebbia luminosa la figura di Brian May sembra erigersi nel bel mezzo di una cattedrale gotica (l’intensità dei fari ne forma le pareti)…
L’impianto di amplificazione si dimostra incredibile quando Mercury torna in palco (questa volta vestito di nero – lo stesso tipo di calza maglia di seta che prima era bianca) e si esibisce in una vocalizzazione ipnotica: le note sembrano girare attorno l’intero giro di 180 e il gong sopra la batteria ne fa da perno… Un principe del ‘700 che ci manda in un viaggio d’acido.
Così arriviamo a “Bohemian Rhapsody”… Tre fari rossi e uno blu sono puntati si Mercury che è al pianoforte. Fumo ghiacciato sale sul palco avvolgendo la batteria in una nuvola colorata di rosa… “Mamma, ho appena ucciso un uomo / Messo una pistola contro la sua testa / Premuto il grilletto, ora è morto… Mamma non volevo farti piangere…”. Siamo in piena tragedia, in dramma italiano dell’Ottocento; la melodia è italiana, la chitarra è italiana e mi chiedo dove diavolo siano stati tutti quei musicisti italiani che non sono riusciti a trovare originalità. “Bohemian Rhapsody” non doveva essere scritta da un complesso inglese, ma da uno italiano. Ma i treni si possono anche perdere e qui qualcuno ha perso proprio un “Intercontinental Express”. Quello, che sta portando i Queen in cima al mondo.
Siamo al bis e l’intera platea del Civic Auditorium è in piedi. Qualcuno nei corridoi salta dalla gioia. Ho modo di osservare il pubblico e mi accorgo che è abbastanza misto, ma non così giovane come il pubblico dei Queen in Inghilterra. Pochissimi i 15enni e forse l’età media è sui 20. Vedo i soliti visi che girano ai concerti di complessi europei. I Queen sono stati accettati in America dallo stesso pubblico degli Yes, Genesis, Floyd, ecc., mi rendo conto che in Europa i Queen sono finora stati repressi da snobbismo e falsi pregiudizi.
Il bis è stato magnifico. Mercury sembrava una moderna Venere con quella sua cappa greca. Il secondo bis è stato stupendo: Mercury è uscito in kimono (non dimenticate che tutto è fatto con tale finezza che quasi non ci si accorge di questi “cambi di costume”) e dopo alcuni attimi se lo strappava di dosso rimanendo in calzoncini (a strisce verticali bianche e rosse, con bretelle). L’eleganza aristocratica delle sue mosse e le autorevoli, ma educate frasi al pubblico me lo hanno fatto apparire come un geniale ed eccentrico artista vittoriano il quale, in un viaggio nel futuro, ci ha portati all’era del rock’n’roll.
Armando Gallo