di Martin Chilton, uDiscover Music - 10 dicembre 2019
Traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana
«Ricordo molto bene il nostro primo incontro del 1980», racconta Mack (70 anni) in un'intervista esclusiva. «Stavo lavorando con Gary Moore a Los Angeles e mi è stato detto che i Queen sarebbero stati nei Musicland Studios, a Monaco di Baviera, e che avrebbero potuto avere bisogno di me. Ho comprato un biglietto aereo e sono andato a Monaco di Baviera. Quando ho incontrato Freddie, mi ha detto: "Che ci fai qui?!" Gli risposi che avevo sentito che c'erano buone possibilità che volessero lavorare con me. In realtà non era così, perché la band stava appena tornando da un tour in Giappone ed aveva solo altre due settimane da trascorrere al di fuori del Regno Unito. Improvvisamente lui mi disse: "Ho sentito dire che qui ci sono delle meravigliose birrerie all'aperto". Era l'inizio dell'estate e sapevamo che fuori il tempo era molto bello, così ci siamo diretti alla Chinese Tower per un paio di birre».
«Quello che è successo dopo è stato molto, molto divertente», ricorda Mack ridendo. «Freddie indossava scarpe a ballerina e pantaloncini che si abbinavano alla camicia hawaiana. Il giardino della birreria era pieno di tavoli pieni e c'erano dalle 8.000 alle 10.000 persone in tutto. Abbiamo dovuto camminare in mezzo a questa enorme folla uno accanto all'altro, lui a braccetto con me, e tutti gli altri al nostro seguito; deve essere sembrato davvero singolare da vedersi».
«Soddisfatti dalle nostre birre, siamo tornati in studio ed è qui che nacque il singolo Crazy Little Thing Called Love, per l'album The Game. Freddie mi aveva assicurato che non sapeva suonare la chitarra, ma avrebbe comunque suonato la melodia per me. Ed io ho immediatamente registrato il tutto».
«Un paio di ore dopo sono arrivati il batterista Roger Taylor e Deacy [John Deacon, NdR]. Gli ho chiesto se volessero ascoltare la canzone. Non erano convinti. Pensavano che lo studio che avevo allestito fosse un po' scarno. Ho detto: "Perché non la ascoltate? Sono solo tre minuti della vostra vita e non farà male a nessuno". Aggiunsi: "Se non vi piacerà, la cancellerò dal nastro; tutto qui". L'hanno verificata e si sono detti: "Oh, questa è davvero forte; dovremmo completarla". Ed è così che ho iniziato a lavorare insieme a loro. E poche ore dopo abbiamo ultimato Crazy Little Thing Called Love, quella geniale canzone che Freddie aveva scritto nel suo hotel a Monaco di Baviera».
«Freddie sapeva trovare le idee giuste in modo velocissimo»
Mack, i cui genitori vendevano strumenti musicali, imparò a suonare il pianoforte e il clarinetto da bambino, e poi passò alla chitarra elettrica. Da adolescente formò un gruppo. «Eravamo pessimi. Finimmo sulla stampa perché venimmo definiti "la band più rumorosa del mondo". In molti lo sostengono, ma effettivamente facevamo solo un gran chiasso. In quel modo il volume alto avrebbe coperto i nostri orrori!», racconta Mack.
Alla fine iniziò a specializzarsi come produttore e ingegnere del suono. Dopo aver lavorato su alcuni album emblematici dei Queen, fu ingaggiato da Mercury come ingegnere del suono e co-produttore del suo primo album solista, Mr Bad Guy, del 1985. Ha anche supervisionato la programmazione della batteria e dei sintetizzatori. Ma cosa ricorda del loro rapporto di lavoro?
«Fare l'album è stato un processo assolutamente destrutturato. Freddie in quel periodo veniva in studio regolarmente. Aveva un appartamento, ed io passavo a prenderlo. Andavamo in studio e si decideva il da farsi. Giocavamo a Scarabeo per un po'. A volte andavamo a fare shopping. Magari facevamo anche brevissime registrazioni. Di solito gli venivano le migliori idee in 15 o 30 minuti. Era sempre bravo a trovare qualcosa da cui partire, anche se non si trattava ancora di canzoni complete. Poi le sviluppavamo insieme. Se riuscivamo a definire la struttura di una canzone eravamo soddisfatti. Di solito lavoravamo sodo fino alle sette di sera e poi andavamo a cena».
L'album Mr Bad Guy è stato un atto di passione che ha richiesto quasi due anni per essere completato. Mercury ha scritto tutte le 11 canzoni, ha cantato, suonato il pianoforte e il sintetizzatore, arrangiato l'orchestrazione e ha lavorato scrupolosamente con Mack per ottenere il suono che desiderava.
«Le canzoni non esprimono altro che ciò che era Freddie»
Per suonare insieme a Freddie, Mack ha impiegato musicisti locali di Monaco di Baviera, tra cui il batterista Curt Cress, il chitarrista Paul Vincent Gunia e il bassista Stefan Wissnet. A loro si sono aggiunti anche il canadese Fred Mandel come chitarrista ritmico e al sintetizzatore.
«Ho scelto i musicisti in base a ciò di cui avevamo bisogno. Per un po' di tempo, Fred Mandel è stato da noi. Era un ottimo musicista. Gli altri erano ragazzi dello studio locale che sapevo essere affidabili per tradurre in musica ciò che desideravamo. Non c'erano note o altro di scritto, quindi bisognava affidarsi all'immaginazione dei singoli. Per definire lo stile con cui suonare, parlavamo con Freddie. Lui era molto in sintonia con i musicisti. I giovani turnisti come loro in genere non parlano molto in studio. Tu gli dai un'idea e loro ne traggono il meglio. Oppure gli si diceva che andava bene come era stato suonato uno strumento, ma sarebbe piaciuto di più in modo diverso. Oppure in alternativa si abortiva il lavoro senza portarlo avanti. I ragazzi erano davvero bravi, quindi difficilmente qualcosa non ha soddisfatto Mercury.»
«Diventammo buoni amici»
Al di là del rapporto di lavoro, Mack e Mercury strinsero una solida amicizia. Freddie amava passare del tempo con il produttore e la sua famiglia. «Siamo diventati buoni amici, e almeno ora so dove sono finiti i miei soldi...», scherza Mack. «Freddie e mia moglie Ingrid andavano a fare shopping. Era incredibile. Sai tutte le tute che indossava nelle foto, come quella gialla che la gente ricorda? Tutto ciò che indossava era stato comprato in quelle uscite con mia moglie».
I due si resero conto di avere un legame stretto durante la registrazione dell'album Hot Space dei Queen, del 1982, quando Mercury e Deacon divennero padrini del terzo figlio di Mack: John Frederick Mack. Durante le sessioni di Hot Space, Ingrid disse: «Sembra che sia più facile concepire e dare alla luce un figlio di quanto ci voglia per voi a completare questo album». Il disco ha richiesto quattro settimane in più rispetto alla nascita del piccolo Freddie.
Mercury diventò parte integrante della vita familiare di Mack. «Freddie venne alle feste di compleanno di tutti i miei bambini, ma una di queste fu particolarmente memorabile. Hai presente il pazzesco costume rosso che indossò nel video di It's A Hard Life? Bene, è venuto alla festa di compleanno di mio figlio Julian con quel travestimento. Pensavo che non l'avrebbe mai fatto. Ma è successo per davvero: "Ti farò vedere. Posso fare qualsiasi cosa!".»
«Mi regalò un dipinto firmato Dalí !»
Il cantante dei Queen amava anche le piccole gioie. «Giocava molto a ping-pong con noi. Era davvero molto bravo. Non sono mai riuscito a batterlo. Julian, che è molto forte, disse: "Non posso battere quel tipo". Freddie era molto bravo anche a tennis. È stato qui per quasi due anni. Non lavoravamo tutti i giorni. Se il tempo era buono ci piaceva utilizzarlo come scusa per non andare in studio e divertirci in piscina. Abbiamo fatto tante cene insieme e siamo diventati molto amici. In questo modo lui si apriva. Si preoccupava molto per il piccolo Freddie e se il suo figlioccio si stancava prima del solito o non aveva appetito lui si preoccupava anche più della sua stessa madre!».
Mercury era un amico premuroso e generoso. «Era molto premuroso. Non dimenticava niente. Comprava regali esagerati per i miei figli, come ad esempio degli orsacchiotti giganti. Una volta parlavamo di pittori. Gli dissi che avevo questo libro di Salvador Dalí pieno di tutte quelle opere incredibili. Un paio di giorni dopo, entrò in studio e lanciò un pacchetto sul banco di missaggio dicendo: "Aprilo, aprilo!". C'era una copia firmata di uno dei suoi quadri di Dalí. Dissi: "È davvero bello!". "No, no, no...! Questo è per te. Pensavo ti piacesse Dalí...", rispose immediatamente Freddie. Era davvero bellissimo, anche se un po' esagerato. Ma lui era davvero un ragazzo generoso.»
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Mack, che negli anni '90 ha lavorato anche con il pianista jazz afro-cubano Gonzalo Rubalcaba, è ancora impegnato nel mondo della musica, dopo più di mezzo secolo. Attualmente sta lavorando con la cantante Kate Beck. Lei vive a Tokyo, ma lavora a Los Angeles. Mack, che ora non viaggia più avanti e indietro per il mondo, resta in contatto con lei via internet.
«Freddie era un genio»
Tra tutti i grandi musicisti con cui Mack ha lavorato, come valuta Freddie Mercury? «Freddie era la Musica. Era un genio. Bastava pensare a qualsiasi cosa e lui l'avrebbe resa cento volte migliore. Riusciva sempre a superarsi. Gesù... Come si può pensare... Come si può anche solo lontanamente immaginare quello che lui ha creato? Era un pianista geniale e suonava davvero bene anche la chitarra, sebbene abbia sempre affermato di non esserne capace.»
«Era particolare anche il suo modo di scrivere le canzoni: prendeva uno di quei blocchetti per gli appunti dell'Hotel Hilton, ad esempio, e annotava cose come "LA", "FA", "DO". Poi, riga dopo riga, arrivava a una decina di pagine tutte così. Alla fine diceva: "Ah! C'è la canzone! Sembra buona e riesco ad immaginarla tutta al completo". Gli dicevo che riuscivo a comprendere la sequenza degli accordi, ma avevo bisogno di una melodia. Ed a quel punto era sempre capace di inventarsi qualcosa di straordinario.»
«Voleva essere ricordato per la persona che era»
Mack afferma che pensare a ciò che è successo a Freddie sia molto doloroso. Ha combattuto una battaglia persa contro l'AIDS. «Ingrid e i bambini erano soliti andare a casa di Freddie a Londra con regolarità. L'ultima volta che l'ho visto fu quando andai in Scozia e feci uno scalo a Londra. Non aveva un bell'aspetto. La sua malattia non era ancora una notizia di pubblico dominio, ma ormai gli effetti erano già evidentissimi.»
«In seguito parlammo al telefono, ma non voleva che io e la mia famiglia andassimo a trovarlo ancora. Penso, ed è una cosa che ammiravo, che lui sapesse di essere prossimo alla fine e volesse essere ricordato da tutti noi nella maniera migliore: pieno di vita, mentre giocava a ping-pong o quando si lamentava del cibo, o ancora come quando ci parlava delle cose che amava e di quelle che odiava. Aveva una personalità fortissima. Era una persona geniale. La sua è stata una perdita enorme.»