SB: Mi chiamo Simon Bradley, 28 anni, Ariete, cacciatore di alligatori, sterminatore di birre, rubacuori. Ho lavorato per la rivista Guitarist per 17 anni fino a quando l’inesorabile politica degli esuberi mi ha buttato fuori da lì nel 2014, e ora mi guadagno il pane come chitarra freelance e giornalista musicale.
QOL: Come hai raggiunto questa posizione? Sei un musicista mancato?! Dai, ti sto solo prendendo un pò in giro...
SB: Che mi crediate o no, notai un annuncio di lavoro per Guitarist, ho fatto domanda e sono stato assunto. Questo nel 1996, una cosa del genere non potrebbe mai accadere adesso: oggi devi essere davvero bravo. In precedenza avevo lavorato in un negozio di chitarre a Birmingham, esperienza durante la quale sono passato attraverso la fase “Devo sfondare nel rock’n’roll!”. Non serve dire che non ce l’ho fatta (sì… ho fallito), ma comunque ho partecipato ad un concerto con i Magnum, un gruppo di ragazzi prog di Birmingham, che in sé era già una bella ricompensa. Ma se avete mai pensato che i Mötley Crüe, o anche addirittura i Queen al culmine della loro decadenza, fossero sempre adamantini… bhè, meglio lasciare le cose così come stanno.
QOL: Qual è il motivo di questa chiacchierata, qual è la tua connessione con i Queen?
SB: Sono co-autore, insieme a Brian, del libro sulla Red Special. L’ho anche intervistato molte volte dal 1998 e, se qualcuno ricorda il National Music Show al Wembley Conference Centre del 1999, dove Brian ha chiacchierato e suonato per oltre 2.000 fan a bocca aperta, io ero quel fascio di nervi seduto alla sua destra sul palco, che lo aveva chiamato per quell'evento. Nel 2001 o anche fatto un provino per uno dei due posti di chitarrista nel musical We Will Rock You. Ho fatto l'audizione di fronte a Brian e Roger, e sono arrivato tra i primi tre...
QOL: Restando sul libro della Red Special con Brian, come sei riuscito a mettere tutto insieme?
SB: Ero colpito dal fatto che non ci fosse alcun libro sulla Red Special e decisi di fare qualcosa al riguardo. Sapevo qualcosa circa la sua costruzione e per anni ho fantasticato di suonarla, come la maggior parte dei fan dei Queen credo. Sono amico da anni del tecnico di Brian, Pete Malandrone, così gli ho telefonato per valutare il suo interessamento e siamo partiti da lì. La mia esperienza con l’editoria mi ha permesso di formulare abbastanza velocemente un concept fattibile e, dopo averlo proposto con successo sia alla Carlton Books che poi a Brian, abbiamo iniziato a dargli una sistemata. Ci sono voluti 3 anni per mettere insieme tutto il materiale e portarlo nei negozi, ma ammetto di aver amato ogni secondo di questo processo. Brian ha detto in seguito di aver desiderato a lungo di scrivere insieme un libro sulla Red Special, e sono lusingato del fatto che non solo mi abbia considerato adeguatamente qualificato per un tale compito, ma che gli fosse piaciuto anche il risultato finale. Infatti, in una e-mail lo ha descritto come "... un bellissimo libro ...", una cosa che mi ha fatto commuovere.
QOL: Vi incontravate regolarmente per discutere sui progressi?
SB: Non frequentemente, ma regolarmente, sì. Brian, giustamente, voleva controllare tutto, quindi doveva approvare ogni cosa prima di andare avanti. Però lui era così impegnato che a volte ci voleva un po’ prima che valutasse il materiale che gli proponevo entusiasticamente, e per concedergli tutta l’attenzione che sentiva di dover dare. Ma lui ci ha dato un accesso illimitato al suo immenso archivio fotografico, ed è stato essenziale per l’esclusività del libro. Condividevo le mie idee con Pete, Greg Brooks e Richard Gray, e potevo sempre mandare una e-mail a Brian quando avevo bisogno di particolari più specifici. Lui mi rispondeva il più velocemente possibile, e mi dava le informazioni di cui avevo bisogno, insieme a parole di apprezzamento ed incoraggiamento. Un pomeriggio ci fu una lunga sessione nel suo ufficio per raccogliere le idee, dopo aver letto uno dei capitoli. Al che, lui si gira verso di me e dice: «Non sta funzionando, eh...?». Abbassai la testa perché fui costretto ad ammettere di essere d’accordo, ma passammo il resto del tempo a sviscerare idee, ed indirizzare il manoscritto nella direzione che volevamo prendesse. Ero vagamente consapevole che stavamo parlando gli uni agli altri come se fossimo sullo stesso livello e che stavo lavorando a stretto contatto con l'uomo che aveva suonato l’assolo di Bohemian Rhapsody, che mi aveva fatto perdere la testa quando ho visto per la prima volta i Queen nel 1979 e che ancora è in una delle più grandi rock band inglesi di sempre. Sono molto felice di dire che non è mai stato altro che premuroso e positivo durante l'intero processo, anche quando le situazioni si facevano un po’ tese per via delle scadenze che incombevano.
QOL: La versione finale del libro è come la volevi?
SB: Più o meno sì. Il brutto di fare questo tipo di cose è che ci torni sempre su, ed individui un errore qui e uno là, o qualsiasi altra cosa che avresti voluto fare diversamente; fa parte del gioco. Mettiamola in questo modo: se non fossi stato personalmente coinvolto con il libro e, da fan, fossi andato da Waterstones a comprarlo, ne avrei amato ogni parola ed ogni fotografia. Sono convinto che sia un gran libro, e sono felice che i molti fan dei Queen che hanno trovato un po’ di tempo per mettersi in contatto con me pensino la stessa cosa. Devo però dire che il libro è leggermente differente dal concept originale che avevo proposto a Brian – io avevo in mente qualcosa che assomigliasse ad un manuale Haynes – ma lui ha fatto un numero significativo di cambiamenti durante le iniziali fasi di discussione, che hanno trasformato in meglio il libro definitivo. In più, Brian non ha esitato quando ho suggerito di smontare la Red Special per ciò che consideravo essere il gioiello più importante del libro: le fotografie di quella chitarra così iconica fatta a pezzi sono semplicemente incredibili. Lui sapeva quanto la cosa poteva rivelarsi speciale, e ci ha permesso di andare avanti col progetto. Avere tra le mani uno dei pickup Burns Trisonic originali fu un momento solenne che non dimenticherò mai, e ammirerò sempre Brian per aver dato il via libera allo smantellamento della Red Special. Gli sarò anche eternamente grato per aver insistito con la casa editrice affinchè il mio nome comparisse sulla copertina. Questo è un onore enorme per me, e lui non era obbligato a farlo.
SB: Così ho sentito, sì. Credo che la prima edizione sia andata esaurita, ed è molto gratificante. La Red Special affascina anche coloro che non si sono mai interessati al funzionamento interno delle chitarre, ed avere la storia raccontata da Brian stesso, illustrata con i diagrammi originali ed alcune bellissime foto di famiglia, è un qualcosa di speciale. Quel mix di spessore tecnico e lato personale del fenomeno Queen è stata una formula infallibile, e tutte le persone coinvolte – neanche lontanamente siamo stati solo io e Brian – hanno fatto un magnifico lavoro. L’edizione italiana ha venduto molto bene, ed ho sentito che sono in fase di realizzazione anche versioni per il mercato giapponese e americano, anche se non c’è ancora una conferma ufficiale, per adesso. La popolarità di Brian e dei Queen è assoluta in tutto il mondo, quindi sicuramente è una bella mossa: i giapponesi lo adoreranno, ne sono sicuro.
QOL: C’è una qualche possibilità di un seguito del libro?
SB: Non ne abbiamo mai discusso. Ci sarebbe lo stesso livello di interesse, ad esempio, per gli amplificatori di Brian o per qualche altro componente della sua attrezzatura? Non ne sono molto convinto, e non sono neanche sicuro di quale possa essere l’opinione di Brian circa un altro libro. Mai dire mai, comunque: per esempio, Brian ha ancora l’Echoplex personalizzato che ha usato per l’assolo di Stone Cold Crazy, più alcuni autentici cimeli, quindi staremo a vedere. Dovrà essere qualcosa di davvero speciale e terremo l’asticella straordinariamente alta.
QOL: Hai lavorato a stretto contatto con altri grandi della chitarra?
SB: Sono stato molto fortunato ad intervistare e filmare molte leggende. Vediamo… Slash, Joe Perry, Angus Young, gli Iron Maiden, Sammy Hagar, Michael Anthony, Mark e Myles degli Alter Bridge, Steve Vai, Paul Gilbert, Joe Satriani, Joe Bonamassa, Paul ed Ace dei Kiss, Tommy Thayer, Nuno Bettencourt, Alex Lifeson, Phil Collen, Richie Sambora, John Petrucci, Michael Schenker, Justin e Dan dei The Darkness, Andy Timmons… rende abbastanza l’idea.
QOL: Oltre i Queen, quali sono i tuoi miti e perchè?
SB: Eddie Van Halen, ma l’Eddie del 1978, non l’Eddie fiacco e ridicolo di oggi. Sono sinceramente convinto che sia il più grande chitarrista della mia generazione, alla pari con altri veri innovatori come Jimi Hendrix, Buddy Holly e Hank Marvin. Le sue sfumature, l’incredibile tecnica e le magnifiche canzoni hanno un posto nel sancta sanctorum delle chitarre di ognuno e, variegato come lo Star Fleet Project dovrebbe essere, lo ascolto ancora con una gioia quasi infantile. Brian e Ed, finalmente insieme… una manna dal cielo.
QOL: Su quali brani ti stai concentrando attualmente?
SB: Sono un nerd patentato della chitarra, quindi i nuovi album di Steve Vai e Paul Gilbert sono un vero spasso per me. Poi, tra gli altri, c’è Time Machine Live dei Rush – adoro i Rush! – e la colonna sonora di Portal 2, roba elettronica più che strana.
QOL: E per finire, un paio di domande standard… album dei Queen preferito?
SB: Probabilmente Jazz, perché è stato il primo album che ho comprato. Jealousy è uno dei miei brani preferiti tra tutti, Dead On Time è un classico pomposo sottovalutato, e la semplicità senza sforzo di In Only Seven Days è la prova di quello che manca ai Queen a causa dell’assenza prolungata di John Deacon. Domani, probabilmente sarà Live Killers: Brighton Rock mi fa morire tutte le volte. Invece Hot Space non sarà mai il mio preferito.
QOL: Infine, qual è la tua canzone preferita dei Queen?
SB: Se dovessi sceglierne una sarebbe Love Of My Life. Le armonie vocali di Freddie non potevano essere migliori, e la chitarra lì dimostra che grande musicista sia Brian. Tutto suonato con una chitarra fatta in casa, naturalmente… il che è sempre sbalorditivo.