di Dylan Jones, 6 marzo 2021 - www.gq-magazine.co.uk
Estratto tradotto in italiano da Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana
La villa di Tony King a Primrose Hill, Londra, contiene il bottino di una carriera trascorsa ai vertici dell'industria musicale, i resti di una vita vissuta fino in fondo, fino al limite, con gente come John Lennon, Elton John, Freddie Mercury e Mick Jagger. King è uno che faceva feste con i Beatles, che ha sentito Satisfaction prima di chiunque altro che non fosse un Rolling Stone e che una volta ha pensato bene di interrompere uno stupefatto David Bowie proprio mentre assumeva cocaina in un bagno a Beverly Hills.
Tony King, una vita vissuta al massimo. All'età di 78 anni è ancora straordinariamente lucido, sta ancora pianificando la prossima parte del suo percorso e riceve ancora la sua telefonata quotidiana da Elton (che in effetti ha chiamato a metà della nostra intervista, realizzata qualche mese fa). Sulle pareti di casa ci sono regali di Elton, Jagger, Lennon, Yoko Ono e Charlie Watts, fotografie di lui con Mercury e i Beatles nei loro fasti e decine di altri ricordi di una vita passata costantemente nel successo.
Come dice lui stesso, «Qui è rappresentato il cast della mia vita, in molti modi diversi e li amo tutti moltissimo».
La straordinaria vita di King è stata una sequenza di piacevoli incidenti, mentre la sua carriera è stata una serie di eventi “sliding doors”. Ha fatto il fattorino, il promotore, il pubblicitario, il talent scout, il manager, il capo di un'etichetta discografica e un ispirato direttore creativo. Ed a raccontarlo è lui stesso.
King è nato nel Middlesex nel 1942, ma è stato presto affidato ai nonni dalla madre quando il padre l'ha lasciata. Così, per i primi undici anni della sua vita, la donna che pensava fosse sua madre era in realtà sua nonna. Un giorno sentì sua sorella parlare con sua nonna: «Quando dirai a Tony di sua madre?». Quando l'ha scoperto, racconta lui, il suo «mondo è cambiato completamente».
Essendosi già trasferito a Eastbourne ─ «La chiamavano il 'Suntrap Of The South'», dice King con espressione piccata ─ a causa della tubercolosi che si diffondeva nella sua famiglia, il suo senso di alienazione geografica fu aggravato non solo da questa notizia scioccante, ma anche dalla realizzazione di essere gay.
«Penso che il trauma di scoprire chi fosse la mia vera madre sia diventato più evidente man mano che crescevo. Mi sentivo come se fossi stato ingannato. Ero comunque di indole nervosa. A scuola scherzavo con i ragazzi e mi rendevo conto che mi piaceva molto, ma non sapevo da cosa dipendesse. Insomma, avevo sentito la parola omosessuale. Così sono andato in biblioteca e l'ho cercata: “uomini che sono attratti da persone del loro stesso sesso”. E ho pensato: "Beh, credo di essere io". Ho iniziato a leggere Tennessee Williams, ma non sapevo che esistesse un mondo gay. Sapevo solo che a Eastbourne l'unico modo per incontrare uomini, per dirla tutta, era andare in campagna.»
Come molti giovani isolati, King si immerse nella musica, in particolare nel primo rock'n'roll. Cominciò a tormentare i negozi di dischi locali per avere un lavoro, finché non ottenne un colloquio alla Decca Records di Londra.
Lì, a 16 anni, iniziò come garzone in ufficio, ma fu presto avvicinato da vari capi dipartimento per cambiare lavoro. «Ero molto carino all'epoca», dice King, con una strizzatina d'occhio. Dopo qualche anno fu avvicinato dal promoter Tony Hall e andò a lavorare per lui. Aveva 19 anni, viveva a Londra e ben presto divenne un pilastro della scena gay. «Ero molto diverso. Ero giovanissimo. Gli uomini di promozione a quel tempo non avevano 19 anni».
King veniva mandato all'aeroporto a ricevere i clienti famosi di Hall e doveva occuparsi di loro mentre erano a Londra, portandoli agli appuntamenti con la stampa, a pranzo, a cena, «tutto». E di tanto in tanto si dava dei pizzichi per assicurarsi di non essere in un sogno.
Ma erano i primi anni '60 e il mondo cominciava a cambiare. A Phil Spector piaceva così tanto uscire con King che gli regalava dei maglioni.
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King si era già guadagnato il riconoscimento di essere un trascinatore alle feste, a qualsiasi festa.
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Quando il boom della disco music cominciò ad affievolirsi, King divenne direttore creativo della RCA, ma a quel punto era così bollito che il Venerdì Santo del 1981 si unì agli Alcolisti Anonimi. «Mi sono disintossicato e sono sobrio da allora, ma non è stato facile», dice King. «Dopo sei settimane di astinenza, Elton è venuto in città a farsi di cocaina. E poi, poche settimane dopo, arriva quel maledetto di Freddie Mercury… “Tesoro, sono qui”. Freddie aveva un giovane gruppo di ragazzi gay che amava frequentare a New York e lui era molto più nel circuito gay di quanto non lo fosse Elton. Quando gli dissi che non stavo facendo nulla di che mi rispose: “Oh, non preoccuparti, tesoro. Fai quello che vuoi!” Ricordo che ero in piedi nel leggendario club gay The Anvil a New York alle sei del mattino, insieme a lui, con la mia Perrier, e Freddie mi disse: “Oh, ma è come Berlino!”. E tutto quello che pensavo era: “Voglio andarmene a letto!”».
King aveva incontrato Mercury mentre lavorava alla Rocket Records e, non a caso, erano diventati subito amici, così in fretta e talmente tanto che King afferma di essere stato quello che ha incoraggiato Mercury a confidare alla fidanzata di lunga data Mary Austin di essere gay.
«Ho chiesto apertamente a Freddie se fosse gay e lui mi ha risposto: "Beh, sì". Allora gli ho detto: "Mary lo sa? E lui disse: “Beh, non ho detto niente”. Allora gli ho detto che doveva essere onesto, perché se non si vive in modo onesto non c’è felicità. Nel giro di 24 ore mi ha chiamato e mi ha detto: “Beh, tesoro, l'ho fatto”. Io dissi, “Cosa intendi per 'fatto'?”. Lui disse, “L'ho detto a Mary e lei è stata d'accordo”. "Ma Freddie amava uscire. Amava il The Anvil. E al The Anvil succedeva di tutto».
King e Mercury sarebbero rimasti amici per il resto della vita della rockstar, ed è stato presente con lui fino agli ultimi tempi.
«Un giorno, verso la fine degli anni 80, notai che aveva una macchia scolorita sul viso e gli chiesi cosa fosse. Lui disse che quei segni erano macchie legate a disturbi al fegato, ma io sapevo che non lo erano. E poi all'improvviso ha smesso di vedere le persone. Venivo a Londra e lui non mi voleva vedere, non voleva vedere nessuno. Ho continuato a chiedere di incontrarlo e poi, incredibilmente, un giorno accettò. Quando l'ho visto sono rimasto scioccato e ho capito che non ce l'avrebbe fatta, perché era molto malato. Voleva che rimanessi con lui e così ci andai due o tre volte. Mi sdraiavo sul letto al suo fianco e tenevo la sua mano fredda mentre faceva offerte alle aste di Christie's. Sfogliava i cataloghi e io dicevo, “Non posso credere che stia facendo questa cosa!”. E lui rispondeva, “Che altro posso fare? Tanto vale spendere i miei soldi divertendomi"».
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«Anche io mi sono divertito molto. È stato tutto meraviglioso, straordinario, unico. Nessuno ha avuto una carriera come la mia. Nessuno ha lavorato per Lennon, Jagger ed Elton, ed è un bel trio, non c’è che dire! Ho avuto la fortuna di lavorare con persone meravigliose che, a parte John e Fred, sono rimasti ancora oggi miei amici. Sapete, ho sempre avuto un bel rapporto lavorativo e di amicizia con le persone che ho incontrato. Tutte persone straordinarie, con le quali ho fatto cose straordinarie. E, mentre la mia carriera andava avanti, ho anche avuto delle belle soddisfazioni personali. Non male per un ragazzo di Eastbourne, vero?».
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