«Musica e look in un mix perfetto Segreti di una band intramontabile»
Mario Luzzatto Fegiz intervista Claudio Trotta (Barley Arts)
di Mario Luzzatto Fegiz - Corriere della Sera, 27 febbraio 2018
A proposito della versione italiana diretta da Maurizio Colombi. Trotta racconta: «Fu un grande successo di pubblico con centomila biglietti staccati. Ma le spese della produzione furono pazzesche. Basti dire che per trasportala ci volevano 4 autoarticolati, mentre per questa, che è originale e non la fotocopia di quella inglese, ne basterà uno e mezzo».
Lei, oltre che promoter, è anche un appassionato, un fan della band. Che differenza c’è fra i Queen e il resto del pianeta rock?
«Un ingrediente unico: la loro capacità di mettere assieme musica non semplicissima con un gusto popolare facilmente assimilabile. Musica e look coniugati alla perfezione. E poi un personaggio come Freddie Mercury che dichiara la sua omosessualità in tempi come quelli, spiazzava i benpensanti costringendo l’artista in un ruolo davvero difficile».
Come fu il primo incontro con Mercury?
«Il 14 settembre 1984, a un certo punto nel backstage mi trovai di fronte lui, Freddie Mercury e, d’istinto, guardandolo, invece di provare emozione e curiosità per l’incontro con un gigante della musica rock, pensai a quanto somigliasse nei tratti del viso a uno di noi: sembrava un uomo del sud. Ebbene sì, aveva proprio l’espressione e lo sguardo di un siculo, un eroe greco, non certo un britannico. Era la prima volta in assoluto che Queen si esibivano in Italia e purtroppo, difficile da credersi, quei due concerti non andarono molto bene in termini di vendite».
Come sono i Queen nella vita normale?
«Disponibili, umili, ma non modesti. E in più con olti interessi e attività a 360 gradi. Brian May, ad esempio, è anche un astronomo e inoltre si occupa della salvaguardia degli animali in via di estinzione. Sono stati vittime di molti pregiudizi. Curiosamente i loro tradimenti stilistici non sono stati mai perdonati dal pubblico, a differenza di quanto è accaduto ad altre rock star».
I suoi dischi preferiti dei Queen?
«Senza al cun dubbio i primi della loro carriera. Con un’anima più blues e più ricercati nelle sonorità».
Un giudizio da «esperto» sui successori di Freddie Mercury...
«Paul Rodgers lo sostituì egregiamente. Lui in precedenza era stato il cantante dei Free ed era un idolo di Mercury da giovane. Ma ora Adam Lambert funziona di più, veste molto meglio il ruolo di Mercury, che comunque resta inarrivabile».
Sabato 2 aprile 2005 moriva Giovanni Paolo II. Il 4 aprile i Queen dovevano suonare al Palalottomatica di Roma. Lei ebbe molte pressioni per cancellare il concerto. Le va di ricordare come andarono esattamente le cose?
«Furono momenti indimenticabili. Il capo della protezione civile Guido Bertolaso mi chiese di rimandare lo spettacolo perché Roma sarebbe stata blindata per la preparazione dei funerali del pontefice. Ma alla base della richiesta colsi anche vaghe motivazioni di carattere “etico” che reputavo totalmente infondate, come se per qualcuno fosse inopportuno divertirsi e gioire della musica in quei giorni. Le stesse richieste, tuttavia, non vennero fatte per esempio ai cinema e ai locali porno. E francamente quelle rivolte a me parvero stridenti con l’amore per la vita, l’arte e la musica che invece appartenevano alle modalità comunicative di papa Wojtyła».
E come andò a finire la faccenda?
«Che mi rifiutai e decisi di proseguire. La band fu d’accordo. E io penso che sia stato un atteggiamento giusto. Appena prima dell’inizio dello show salii sul palco e informai il pubblico delle richieste di annullamento ricevute. Spiegai la scelta del mio rifiuto, profondamente convinto che il papa stesso non avrebbe mai chiesto di interrompere la musica. Chiesi un minuto di silenzio in omaggio alla scomparsa di Karol Wojtyla e alla fine seguì un fragoroso applauso che si spense all’improvviso lasciando spazio a un silenzio surreale. Fu una cosa molto emozionante e toccante».
Maurizio Colombi, 51 anni, regista e attore: attualmente sono in scena, scritti e diretti la lui, La regina di ghiaccio, Elvis the musical, Gli sposi promessi, Peter Pan. Nel suo curriculum molti altri musical fra cui Rapunzel, La Divina Commedia, Heidi. E, naturalmente, We will rock you, versione italiana, a suo tempo benedetta dai Queen e prodotta da Claudio Trotta (vedi altro articolo).
«Avevo una grande passione per la musica dei Queen ─ ricorda Colombi ─. Con Franco Miseria avevamo preparato un copione intitolato I love you Freddy. Eravamo riusciti anche a trovare uno sponsor. Con una certa ingenuità, andammo a Ginevra a incontrare il manager dei Queen, Jim Beach, al quale esponemmo il progetto e il finanziamento. Lui ci osservò stupito e disse: “Avete il divieto assoluto di portare avanti questo progetto: noi, fra un anno, usciamo con un musical intitolato We Will Rock You con un investimento di 14 milioni di sterline”. Ci fece capire, con gentilezza, che eravamo dei poveracci un po’ velleitari. Però ci aveva presi in simpatia, aveva capito che eravamo preparati ed entusiasti. Per questo forse promise che una eventuale produzione italiana avrebbe avuto me come regista».
Ad aggiudicarsi la produzione italiana fu Claudio Trotta, forte dei rapporti già in essere con la band e Jim Beach.
«Ci imposero una formula che era l’esatta riedizione delle versione inglese. Lavorare con Brian May fu affascinante. Fuori scena era una persona delicata, a volte sembrava sofferente e lacerato. Educatissimo, venne più volte a casa mia. Chiamava per far gli auguri di Natale, disponibile per consiglio e supporto in ogni fase preparatoria».
Cosa andò in scena?
«Un concertone dei Queen. Ma mi concessero qualche modifica e io ne approfittai subito intervenendo sia sul copione che sulla scenografia. Ma a vincere era sempre la potenza delle canzoni che mandavano in sollucchero i fan. Molti loro brani sono degli inni da cantare in coro, come We Are The Champion».
Che cosa ha imparato dai Queen?
«La precisione che hanno gli inglesi nel teatro musicale è pari a quella che abbiamo noi nel mettere in scena l’opera. Nel musical invece scivoliamo verso la commedia dell’arte che tuttavia appartiene alla nostra cultura teatrale».
Cosa le ha lasciato questa edizione di We Will Rock You?
«Un cast meraviglioso che ho continuato a usare in tutti i musical successivi».
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