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I maestri delle transizioni - Fan feature by Fabio Mirabasso [QueenOnline.com]

21/9/2020

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È italiano, ha 25 anni, vive a Bastia Umbra ed è un fedele fan dei Queen fin da quando li ha ascoltati per la prima volta da bambino. È sua questa “fan feature” pubblicata sulla pagina ufficiale dei Queen.

di Fabio Mirabasso, QueenOnline.com - 21 settembre 2020
Traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana

Nel corso della loro produzione artistica i Queen hanno dimostrato di apprezzare e cimentarsi con diversi generi musicali. Uno dei loro punti di forza è stata l'esplorazione di svariati stili in modo che tutti potessero trovarvi il lato che preferivano. Anche dopo anni di ascolto, le loro canzoni hanno sempre quel tocco speciale che le rende interessanti. Mi ha sempre incuriosito e sorpreso la loro grande capacità di creare opere così diverse e allo stesso tempo “omogenee”, soprattutto a livello di album. Una delle tecniche più affascinanti che li ha aiutati a raggiungere questa coesione sono le transizioni tra una canzone e l'altra: in particolare quelle più soft, dove non si nota nemmeno il divario tra le due tracce. Tecnicamente si chiamano "segue": rappresentano l'impercettibile passaggio da una canzone all'altra. È un mix vincente che arriva sia dalla composizione che dalla registrazione. È quasi "un'arte nell'arte" e credo che i Queen ne siano stati maestri. Questo stratagemma è stato inizialmente sfruttato da band della scena psichedelica e progressive come i Genesis, i Pink Floyd e soprattutto i Beatles (famosi il lato B di 'Abbey Road' e l'intero concept alla base di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band).
 
I Queen, tuttavia, hanno fatto proprio questo concetto e lo hanno portato a un livello ancora più alto, facendo sì che certe canzoni fluiscano in modo naturale e siano ben collegandole tra loro. La domanda ogni volta è sempre “Utilizzeranno una nota sostenuta o un altro stratagemma?”. E ogni volta il gioco cambia, e proprio questo è il bello.
 
In questa occasione, mi concentrerò solo sulle canzoni realizzate in studio, lasciando da parte i medley dal vivo, scorrevoli per loro natura. Va detto che questa tecnica è stata usata principalmente nella produzione degli anni 70, ma, come vedremo, ci sono delle eccezioni...
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Il primo album del 1973, Queen, è stato un solido debutto, ma non presenta ancora questa peculiarità. Questo probabilmente dipende un po' dalle circostanze in cui i brani sono stati registrati - un modo frettoloso, potremmo dire - un po' perché molti di questi facevano già parte del loro repertorio live o di esperienze precedenti. E quindi non erano molto adatti ad un'ulteriore elaborazione.

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La magia delle transizioni inizia nel 1974 con Queen II. Questo album, caratterizzato dal contrasto tra il bianco e il nero, presenta diverse gemme e vari esempi di questa meravigliosa tecnica di registrazione. Non dobbiamo aspettare a lungo, perché i primi tre brani sono legati in modo molto riuscito, in un'atmosfera solenne e quasi sacra.
La "processione" strumentale, l'incredibile invenzione di Brian resa possibile dal Deacy Amp, è collegata, come in una leggera pioggia, alle prime eleganti note di Father To Son, che a sua volta sfocia nelle atmosfere medievali e sognanti della commovente White Queen. Liricamente si passa dai teneri insegnamenti di un padre alla descrizione di una “Regina” meravigliosa e irraggiungibile; una figura femminile che rappresenta la perfezione in tutti i suoi aspetti. Una sequenza iniziale che ci porta dolcemente nel cuore dell'album e precisa immediatamente il tono maestoso e regale di queste nuove canzoni. ​
Pochi minuti e brani dopo, quando la furia si calma e abbiamo assistito alla “Ogre Battle”, si sente un'esplosione.  Un ticchettio prende il sopravvento, da cui si alza un insistente clavicembalo. Ci accompagna direttamente dal campo di battaglia alle magiche e sensuali atmosfere di un bosco fatato. È l’eclettica The Fairy Feller’s Master-Stroke, con Freddie che descrive un luogo (ispirandosi all'omonimo dipinto di Richard Dadd) abitato da strane creature. Un delicato arpeggio al pianoforte, alla fine della canzone, fa da collante e rappresenta l’emotivo “segue” che ci porta direttamente a Nevermore; forse il passaggio più riuscito dell'album. Il tema passa senza alcuna incertezza da un curioso assembramento di inconsuete creature all'amara meditazione di un amante abbandonato. Si ostina a rendersi conto che probabilmente il vero amore non arriverà mai, come diceva il Corvo immaginato da Edgar Allan Poe: “Mai più”!
Le sorprese non sono finite, perché alla fine dell'epica e potente The March Of The Black Queen è legato uno dei pezzi più visionari dell'album: Funny How Love Is. Aggrappati alle armonie quasi angeliche della canzone precedente, che aumentano di tono e vanno progressivamente ad accelerare di ritmo, ci immergiamo nella consapevolezza che l'amore è ovunque intorno a noi, se solo facciamo attenzione. Solo un genio e una band attenta ai dettagli come i Queen avrebbero potuto pensare a un modo per collegare non solo due canzoni, ma anche due album! È il caso di Seven Seas Of Rhye: l'allegro coro che viene cantato nel finale è la stessa melodia fischiettata che apre l’album Sheer Heart Attack e la prima traccia Brighton Rock, con chiare ambientazioni da luna park. Un affascinante caso di lungimiranza nella musica rock!
Sheer Heart Attack è un altro lavoro pieno di idee interessanti nel campo dei “segue”. C'è un altro trittico degno di nota, rappresentato da Tenement Funster, Flick Of The Wrist e Lily Of The Valley. Nel primo episodio una martellante introduzione pianistica emerge dagli effetti e i riverberi della Red Special; nel secondo, dopo svariati scambi molto reattivi tra la voce principale e i cori, una sola parola - "honey" - viene mantenuta più a lungo e diventa la chiave d'accesso alla terza parte, una raffinata ballata. L'umore passa gradualmente dalla spavalderia di un giovane alla cinica arroganza di un imprenditore, per poi reclinarsi nel delicato ritratto di un fiore, metafora di quanto sia effimera l'esistenza, con i suoi dubbi, le sue paure, le sue incomprensioni. Questa canzone costituisce anche l'addio al regno di Rhye, terra di fantasia inventata dal piccolo Farrokh nella sua infanzia. Entrambe le transizioni sono eseguite alla perfezione; mi soffermerei anche sulla nota di chitarra allungata che apre Lily Of The Valley, dopo la frenesia del brano precedente. Il contrasto è qualcosa di poetico.
Meno evidente, ma comunque molto utile, è il passaggio da In The Lap Of The Gods a Stone Cold Crazy. Un beat calante ma incessante che conserva la potenza necessaria per quella che è stata considerata da molti la prima canzone thrash-metal della storia. Anche tra Misfire e Bring Back That Leroy Brown il legame è sottile, ma è possibile notarlo. Qui siamo ai margini di una dissolvenza, ma personalmente ho sempre percepito un'apertura sonora che ha dato respiro alle vicende predoniche di Leroy Brown, direttamente derivata dallo scoppiettante finale di Misfire - appena in tempo!
A Night At The Opera (1975), oltre ad essere il capolavoro che tutti amiamo, ha aperto ulteriori scenari ai Queen per sperimentare le connessioni tra canzoni. I “segue” da Death On Two Legs (Dedicated To…) a Lazing On A Sunday Afternoon e da quest'ultima a I'm In Love With My Car sono più ideali che concrete: pur essendo molto ben legate e con pause molto brevi, trasmettono una sensazione di fluidità unica. Possiamo pensare a entrambi i finali che ci trascinano improvvisamente e letteralmente verso il silenzio, prima di tornare con un sound vaudeville d'epoca o con la grinta di un'auto da corsa.
Ma l'esempio supremo è il passaggio da The Prophet’s Song a Love Of My Life: un raffinato dialogo tra pianoforte, chitarra classica e persino arpa ci accoglie dalla tempesta vissuta dal profeta a una delle più belle canzoni d'amore di sempre. Le prime note di Love Of My Life richiamano infatti vari passaggi conclusivi del brano precedente (tra cui diverse pizzicate di koto, strumento tradizionale giapponese suonato da Brian). Il testo va dai deliranti avvertimenti inascoltati di un uomo saggio (o forse era pazzo?) a una preghiera romantica a cuore aperto. Avete mai notato che prima del rullo di tamburi che apre God Save The Queen c'è un'eco, una sorta di leggero fruscio? Ebbene, è proprio il suono causato dal maestoso gong alla fine di Bohemian Rhapsody, una delle canzoni più apprezzate e famose di sempre. Si tratta di un altro passaggio meno evidente ma comunque molto piacevole perché unisce un'opera d'arte imprevedibile e innovativa con la più tradizionale melodia per eccellenza: l'Inno Nazionale.
L'album successivo, A Day At The Races (1976), è stato altrettanto eccellente, ma non ha presentato casi particolari di “segue”. C'è però un'idea molto ingegnosa che permette di ascoltare l'album in un loop ideale, che di fatto costituisce anche un passaggio da un brano all'altro. Mi riferisco al finale di Teo Torriatte che ricorda l'atmosfera orientale all'inizio di Tie Your Mother Down. Vero: c'è un gap significativo e i due brani sono intervallati da alcuni secondi di silenzio e riflessione, ma potremmo vederlo come un anello che teoricamente ci permette di rituffarci in un nuovo ascolto dell'album.
News Of The World (1977) aveva nel complesso arrangiamenti essenziali e meno stratificati, anche come reazione fisiologica ai venti del punk rock emergente. Jazz (1978) non aveva transizioni particolari, ad eccezione dell'innovativo medley posto verso la fine di More Of That Jazz. Non proprio un “segue” tra i brani, ma comunque un bel modo per legare insieme le canzoni e offrire un rapido riassunto! È sorprendente notare che anche solo una parola o un fischietto potevano servire da riferimento per le singole tracce e, se lo si desiderava, avrebbero potuto essere utilizzati come ideali ponti tra le canzoni.
 
Con l'arrivo degli anni 80, l'approccio alla composizione è inevitabilmente cambiato e quindi anche la struttura delle canzoni e dei relativi album. Basti dire che i Queen non avevano mai usato il sintetizzatore prima d'ora, mentre da The Game (1980) in poi diventerà un altro prezioso alleato per realizzare canzoni fantastiche. Lo stratagemma del "segue" è stato però accantonato per un po' di tempo, probabilmente per rendere più accessibile l'ascolto delle singole canzoni e non necessariamente inserito nella struttura più ampia di un album. Escludendo il soddisfacente Flash Gordon, che era una colonna sonora e aveva chiaramente le sue regole richieste dalle esigenze cinematografiche (è quasi tutto un unico grande e fluido passaggio, completo di dialoghi tratti dal film), è necessario attendere diversi anni prima di notare il ritorno di questa tecnica.
Hot Space (1982), The Works (1984) e A Kind Of Magic (1986) includevano tutti brani con un finale brusco o gradualmente sfumato prima dell'inizio del brano successivo. È quindi impossibile riconoscere anche solo l'intenzione di collegarle tra loro. Personalmente, mi è sempre piaciuto il modo delicato in cui Life Is Real (Song For Lennon) inizi dal finale energico e gridato di Put Out The Fire, ma forse è più un suggerimento che un collegamento tangibile.
Nel 1989 i Queen hanno completato un album favoloso, che per la prima volta li vedrà coautori di tutte le canzoni in un'unione simbolicamente rappresentata anche in copertina. E a proposito di unione, vediamo finalmente il ritorno del nostro amato "segue". I primi due brani di The Miracle, infatti, Party e Khashoggi's Ship, entrambi scatenati e grintosi, si collegano perfettamente con un passaggio sorprendente e impercettibile. Freddie, a nome di tutta la band, all'inizio di Khashoggi's Ship, si chiede chi abbia osato pensare “che la sua festa fosse finita”. È proprio la frase "the party is o..." (“la festa è fi…”…nita) che si allunga e ci accoglie nella canzone successiva. La festa non è affatto finita - lo sottolinea anche il potente riff di Brian - e continuiamo a parlare delle sfrenate vicende di quelle lunghe notti senza pudore. La festa non è finita finché non te lo dicono… Chiaro?!
Innuendo (1991) è un album meraviglioso, inevitabilmente pieno di malinconia e nostalgia. Uno degli episodi più commoventi lo troviamo, a mio avviso, proprio nell'ultimo passaggio tra Bijou e The Show Must Go On. Se vogliamo essere precisi, con criteri più severi, questo non sarebbe nemmeno un vero e proprio "segue". Ma credo che possiamo fare una piccola eccezione dato il significato emotivo di questa combinazione. Non appena l'ultima nota eterea dell'assolo di chitarra si dissolve, si passa dalla delicatezza di un abbraccio, che sarebbe meraviglioso se potesse durare per sempre, alla forza di un imminente addio pieno di dignità e voglia di lottare nonostante tutto. Anche musicalmente siamo al culmine delle emozioni. L'assolo avvolgente di Brian May, unito alla voce limpida di Freddie, porta alla potenza del collettivo quando anche John e Roger si uniscono al brano successivo. Difficile trovare due canzoni finali così emozionanti e ben assortite in un album rock. Davvero toccante.
All’interno di Made In Heaven (1995) ci sono altre scelte geniali e commoventi, come gli emozionanti flashback sonori alla fine di Mother Love o i classici intermezzi rock che Roger Taylor ha inserito nella sua reinterpretazione di It's a Beautiful Day. Alla fine di questa canzone, c'è anche spazio per una transizione (così come abbiamo imparato a conoscerle) che è un breve, potente e appassionato "Yeah" cantato da Freddie e che ci accompagna nel brano misterioso e suggestivo Untitled / Track 13; una lunga e rilassante suite strumentale che meriterebbe uno studio a parte e che lascia libera interpretazione a chiunque abbia il piacere di ascoltarla.
Come abbiamo visto, i Queen hanno saputo stupire continuamente il mondo con le loro idee musicali. A volte è bastata una piccola e delicata sfumatura per sorprenderci, altre volte hanno voluto fare le cose in grande. Sicuramente sono sempre stati originali, diversi, con una marcia in più. Anche per questo motivo sono una band leggendaria.
 
Spero vi sia piaciuto questo piccolo studio. Grazie per la vostra gentile attenzione e buon ascolto a tutti!
 
Ora scusatemi ma corro a cercare altre gemme nella loro discografia!

■ Leggi anche...


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     • Il nero, il bianco e il grigio di Queen II [QueenOnline.com, 2014]

     • Quel "maestoso" music-hall dei Queen [QueenOnline.com, 2020]

​     • Stuart Epps: «I Queen vennero proposti alla Rocket Records, ma...» [2018]




​

─ @claudiobadger
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