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Peter Hince - intervista per Louder [7 novembre 2018]

7/11/2018

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Com'era davvero Freddie Mercury: il racconto di Peter Hince, roadie dei Queen per 12 anni, da A Night At The Opera fino a Knebworth Park

di Paul Elliott, 7 novembre 2018 - Louder Sound / Classic Rock
Traduzione in italiano di Claudio Tassone per Comunità Queeniana Italiana

Peter Hince ha lavorato 12 anni per i Queen come roadie del cantante Freddie Mercury e del bassista John Deacon. Quando cominciò nel 1975, la band stava registrando l'album A Night At The Opera; un classico. Ha lasciato l'incarico dopo il grandissimo concerto a Knebworth Park del 9 agosto 1986, quello che si è poi rivelato essere l'ultimo spettacolo dei Queen con Mercury.

Hince parla della propria carriera con la band nel suo libro Queen Unseen, che offre significative informazioni sulla vita del frontman e sui 10 anni in cui i Queen sono diventati una delle più grandi band al mondo.

In questa intervista, Hince ci parla di Mercury, dell'uomo entrato nel mito. Snocciola anche informazioni sugli altri membri dei Queen: del bassista John Deacon, del chitarrista Brian May e del batterista Roger Taylor. E rivela anche la verità su quel leggendario party dei Queen…
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© Paul Natkin / Getty Images
Conoscevi bene Freddie Mercury. Che tipo di persona era?

«La gente parla di Freddie e del suo ego, ma il suo ego non era così grande come la gente crede. Era una persona normalissima. Sapeva non prendersi troppo seriamente, mentre alcuni degli altri ragazzi della band no, non allo stesso modo. Con Freddie si poteva ridere, ma si sapeva bene quale fosse la linea di confine. Non era necessariamente la prima donna che tutti pensavano che fosse.»



Freddie è stato la più grande rockstar della sua generazione?

«Come frontman era imbattibile. Non solo per la sua voce, ma nel modo in cui governava il palcoscenico. Adoro gli Zeppelin e i The Who ─ Plant e Daltrey erano grandi frontmen ─, ma penso che Fred ne avesse di più in quanto a spettacolarità e presenza. Per lui la cosa più importante era interagire con il pubblico, essere capace di divertire il pubblico e portarlo dalla propria parte. E in ogni spettacolo dava tutto.»


​ 
Aveva una certa presenza lontano dal palco allo stesso modo di come ne aveva in scena?

«Oh, sì. Fred era unico. Ho lavorato per Bowie, ma nessuno aveva l'aura che possedeva Fred. Forse un po' Mick Jagger, fino a un certo punto. Ma nel caso di Fred aveva qualcosa di speciale, fin dai primissimi tempi. Aveva un'aura. Non distacco, ma si avvertiva che fosse una persona speciale.»



Per quanto carisma avesse Freddie, hai avuto la sensazione che sotto sotto fosse insicuro?

«Oh, certamente. Sempre. Aveva un sacco di insicurezze, non professionalmente, ma a livello personale sì.»



Quando hai incontrato per la prima vonta Freddie e gli altri ragazzi dei Queen?

«Nel 1973. Lavoravo per i Mott The Hoople e i Queen erano il loro gruppo spalla nel tour britannico. Il primo album dei Queen era appena uscito.»
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© Michael Putland Hulton Archive
E già prima di allora avevi lavorato per Bowie?

«Sì, Ero il roadie di Mick Ronson nel tour Ziggy Stardust. Dopo lo spettacolo a Hammersmith e il successivo "ritiro" di David, ho lavorato per i Mott. E quando il periodo con i Mott terminò nel '75 avevo bisogno di un lavoro. E per fortuna venni assunto dai Queen.»


E così sei stato testimone oculare della loro scalata alla supercelebrità globale…

«I Queen volevano essere la più grande band del mondo. Non ne hanno mai fatto un mistero. Ed ebbene sì, io ho visto tutto questo succedere. Negli anni 70 sono stati una rock band fantastica e negli anni 80 divennero una fantastica pop band.»



Sei stato anche testimone della registrazione di tanti album classici dei Queen.

«C'ero quando è stata registrata Bohemian Rhapsody. Ricordo solo che non capivo cosa diavolo significasse! Ed ero con Freddie quando scrisse Crazy Little Thing Called Love. Quello fu un momento davvero speciale.»
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© John Rodgers / Redferns
Nel tuo libro ci riservi una grande delusione. Fai riferimento a una famosa storia di un party inscenato a New Orleans nel 1978 per la pubblicazione dell'album Jazz dei Queen, nel quale si presume che agli ospiti venisse servita cocaina su piatti serviti da nani che li portavano sulla loro testa. Tu invece definisci quella storia "tutte stronzate"…

«È così. È completamente infondata. C'erano dei nani, ma erano nascosti su dei vassoi sotto portate di fegato e altri tipi di carne fresca.»


​
John Deacon è sempre stato il più tranquillo nei Queen. In un certo senso è il grande enigma della band…

«John oggi è virtualmente un recluso. Ha scelto di restare in privato e penso che la gente debba rispettare questa sua volontà. John è sempre stato molto con i piedi per terra, un ragazzo normale. Ha avuto sei figli ed era molto preso dalla propria famiglia, ma si è anche trovato a far parte di essere parte di una delle più grandi band del mondo.»



Come descriveresti Brian May?

«Brian è una delle persone più complesse che si possano incontrare. Ha un grande cuore e vuole essere carino e gentile con tutti. Era il più sensibile nella band in un certo senso. Ma come la maggior parte delle persone ha anche un altro aspetto: sa essere davvero spietato.»


​
​E invece Roger Taylor?

«Roger amava lo stile di vita da rock star, con automobili e case in campagna. Sicuramente si è goduto i propri soldi, come anche Fred, mentre Brian e John erano invece più dei tradizionali uomini di famiglia e si trattenevano un po'. Ma a Rog piaceva. A volte poteva essere un pochino troppo rock star, ma penso che si sia un po' addolcito negli ultimi anni. Ora è un tipo più riflessivo.»



Freddie è sempre stato un uomo gay che si nascondeva alla luce del sole. Per lui era difficile tutto questo ai tempi dei meno illuminati anni 70 e 80?

«Moltissimo. Ovviamente dopo The Game nel 1980, con il suo manifestarsi apertamente gay con quei baffi, penso che le cose divennero un po' complicate per lui.»
Il Live Aid nel 1985 è stato un momento fondamentale nella carriera dei Queen. Cosa ricordi maggiormente di quel giorno?

«Beh, per prima cosa non avevano molta voglia di prendervi parte. All'epoca c'erano dei seri problemi all'interno della band. Penso che stessero davvero per separarsi, perché The Works (il loro album del 1984) non aveva ottenuto niente in America e non avevano potuto farci un tour. Inoltre Fred stava lavorando a cose sue da solista. Per cui il Live Aid li galvanizzò. Fu un punto di svolta per la band. Conquistarono il pubblico con le giuste canzoni al momento giusto. Forse sentivano di avere qualcosa da dimostrare. Quando tornarono dopo l'esibizione si sentiva chiaramente ─ e loro stessi lo sapevano ─ che avevano rubato la scena. Elton John gli disse in seguito "bastardi!".»



In tutti gli anni nei quali sei stato al servizio dei Queen, quali sono stati gli aspetti migliori e peggiori del tuo lavoro?

«La parte migliore erano i viaggi, le esperienze e quella specie di gloria riflessa di lavorare per una immensa band. Le cose peggiori sono rappresentate dai momenti in cui non venivo apprezzato. Ti senti come usato e abusato, e quando questo avveniva si si sentiva in modo orrendo, sporco, un'esperienza schifosa. E questo continuando in ogni caso a caricare e scaricare tutto dai rimorchi dei camion, senza dormire per due giorni. Ma faceva tutto parte del lavoro. E in fondo, per quanto si potesse raschiare il fondo, restava pur sempre un lavoro.»



Quando infine hai lasciato nel 1986, hai avuto notti insonni per quella decisione?

«Veramente no. Arriva il giorno in cui qualcosa scatta in te. Era arrivato il punto in cui mi ero rotto le scatole e non mi sentivo più apprezzato. Non aveva più senso continuare a far parte di quella organizzazione. Non volevo lavorare per un'altra band. Pensai che fosse il momento di farmi da parte nel pieno della mia forma. Probabilmente sentivo anche che non sarei riuscito ad andare avanti ancora a lungo. Succede. Non ho rimorsi.»



Roger dice che gli piace il tuo libro. Ti sorprende questa cosa?

«Sì, mi sorprende. Lui sapeva essere un tantino distaccato. Per cui questa cosa è stata davvero carina da apprendere. Penso che in questo periodo lui sia molto più rilassato verso certe cose.»



Cosa ne pensi del fatto che Roger e Brian vadano avanti come Queen senza Freddie e John?

«Beh, quando morì Freddie, John pensava: "È finita. I Queen non esistono più". Brian e Roger volevano andare avanti in vari modi con i Queen ed io ne capisco benissimo il perchè. Non sono sicuro che sia la cosa giusta da fare. Possono essere ancora dei musicisti senza utilizzare il nome Queen. Ma è se si vuole la fama serve fare questo gioco. Alla gente piace tirare avanti finchè si può.»



Molti fan dei Queen sono d'accordo con te: niente Freddie, niente Queen.

«Quella è la cosa più commovente. Dopo la morte di Fred non si può ricreare mai più quello che c'era prima; non importa in quale forma si cerchi di farlo. Ho visto i Queen+ Paul Rodgers, e lui è uno dei miei cantanti preferiti. Ma è stata una scelta completamente sbagliata. E lo stesso vale per Adam Lambert. Sono sicuro che sappia cantare, ma è un po' come assistere ad un cabaret di Las Vegas. È chiaro: se non hai mai visto la band originale, beh, ecco qui metà della band. Ma non fa per me.»

■ Leggi anche ...



​     • Peter Hince: "Bowie ha registrato pezzi con i Queen che non sono stati pubblicati" [The Guardian, 2017]

     • Come i Queen sono sopravvissuti ai Sex Pistols e al punk [The Quietus, 2017]

     • Freddie Mercury furioso a Sanremo [La Repubblica, 2017]

     • Rudi Dolezal dei DoRo ricorda Freddie Mercury [CBS4, 2018]

     • Peter Hince: "Una giovane mediorientale dietro al testo di Mustapha" ​
─ @claudiobadger
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