Dopo una decade di attesa in cui si sono susseguiti annunci vaghi, decisioni, cambiamenti, sospensioni e addirittura licenziamenti, il film biografico sui Queen è ora una realtà. Senza bisogno di essere dei soggetti ansiosi, è stato necessario sgranocchiare qualche snack per circa mezz’ora prima di capire che tutto stava accadendo per davvero. La sensazione era che da un momento all’altro, durante la giornata, potesse arrivare la notizia di un annullamento. E questo non per una promozione approssimativa, che anzi è stata covata per ormai tre mesi e culminata con l’inaugurazione della storica stradina londinese Carnaby Street completamente addobbata per i Queen e per il lancio del film, ma per quella sensazione che si prova quando qualcosa di troppo bello o inarrivabile si stia per materializzare (quasi) davanti agli occhi. Oppure l’esatto contrario, cioè un timore che il prodotto finito non fosse all’altezza di tanta aspettativa generata negli appassionati.
Nel lasciarci distrare dal programma della cerimonia, quasi non ci accorgevamo di due grandi assenze: il regista Bryan Singer e John Deacon. Per il primo si può immaginare facilmente il motivo, dal momento che è stato licenziato dalla produzione lo scorso dicembre quando mancavano una ventina di giorni alla fine delle riprese.
Nel caso di John, invece, è stata solo l'ennesima conferma di un irreversibile addio alla scena pubblica. Ormai conduce una vita riservatissima da oltre 20 anni e solo un miracolo (nel quale peraltro tutti speravano) lo avrebbe potuto portare ad apparire sul red carpet insieme ai colleghi e agli attori e allo staff del film. Tra la schiera di presenti è stato comunque notato suo figlio Luke, mentre il più piccolo Cameron aveva espresso tutto il suo apprezzamento al trailer di Bohemian Rhapsody. Di sicuro, se mai loro padre andrà a vedere questo film lo farà come un signor qualunque, pregando uno ad uno tutti i Santi del calendario che nessuno lo riconosca.
Sul conto di Mary Austin invece c'è ben poca speranza di trovarla interessata al progetto. Lei è fino anche più inarrivabile di Deacon.
Da questo punto in avanti non c’è molto altro che si possa raccontare rispetto a quella che è la pellicola. Si può solo dire quello che già è noto dalle sinossi pubblicate nei mesi scorsi, e cioè che la sceneggiatura ha come punto sia di inizio che di fine l’esibizione dei Queen al Live Aid, con l’intero film che viene proposto come una sorta di flashback sulla storia professionale di Freddie Mercury (intese anche le professioni diverse da cantautore e musicista) e dei Queen.
Durante la visione vengono date indicazioni sugli anni in cui hanno avuto luogo i fatti narrati. Questa scelta ha un senso pensando che ad un film fedelmente biografico, ma cade un po’ nel proprio stesso tranello di una narrazione che per forza di cose non può essere puntuale e fedele fino a questo punto alla vera storia. In Bohemian Rhapsody c’è spazio per una trama che porta il gruppo di giovani studenti inglesi “disadattati” (compreso un immigrato “paki”), per dettagli di tutto rispetto che a volte solo alcuni fan potranno apprezzare fino in fondo, ma anche per adattamenti cinematografici che portano i fatti reali ad essere collocati temporalmente in anni che non corrispondono a quelli che tutti conosciamo. Il problema è presto superato da una sceneggiatura davvero brillante e da una saggia gestione del ritmo dell’azione.
Baffo. Nell’iconografia generale, Freddie è quel tipo con atteggiamento da macho e il baffo autoritario. Dobbiamo concedere alla sceneggiatura almeno il secondo di questi stereotipi. Il Freddie maturo nel film non è quello di Innuendo né di The Miracle. Se è per questo, non è neppure quello del Magic Tour (che, stavolta fedelmente ai fatti reali, non viene rappresentato). Come per tanti altri aspetti altrimenti discutibili (leggasi ad esempio le solite critiche piovute per Fat Bottomed Girls nel 1974, Freddie con i baffi alla creazione di We Will Rock You o ancora Love Of My Life……… NO! Questo sarebbe uno spoiler), l’attenzione dello spettatore è rapita da ben altre fattezze. L’interpretazione di Rami Malek è da Oscar. Rami, sia con i baffi che senza, con la dovuta dose di riverenza, ha davvero riportato cinematograficamente in vita Freddie Mercury… e anche Freddie Bulsara. Espressioni facciali, movenze e perfino tratti del carattere vengono riproposti dall’attore di origini egiziane, il quale si trasforma letteralmente nel film rispetto alle proprie sembianze di tutti i giorni. A tratti sembra addirittura più alto della sua effettiva statura.
Ed anche tenere centomila persone nel palmo della mano… o con un pugno in alto che spacca il cielo.
«I fan dei Queen sono importantissimi per me. Sono molto emozionato che i fan più irriducibili potranno ora vedere il film. Io stesso sono diventato un fan accanito dei Queen.
La cosa speciale di questo film è che si vede la maturazione della band, i cui membri provengono da percorsi di vita differenti e si uniscono per collaborare alle più belle canzoni che abbiamo mai sentito. Si può vedere la creazione di queste canzoni e anche la consacrazione della band sul palcoscenico. È il trionfo sulla tragedia, e la celebrazione della band e di Freddie.
Penso che tutto ciò di cui la gente ha bisogno siano due ore di trascorrere con una bella serata al cinema.
Anche se ci siamo concessi delle licenze creative sulla sequenza temporale degli eventi e con alcune altre cose, l'abbiamo fatto per sfruttare nel migliore dei modi queste due ore a disposizione. Ci scusiamo per questo, ma sento che alla fine capirete il senso di quello che accaduto in quegli anni. Rock on!»
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