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Bohemian Rhapsody, la nostra recensione dell'anteprima al cinema

24/10/2018

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UCI Cinemas ci ha dato l'opportunità di guardare il film ufficiale su Freddie Mercury e i Queen con un mese di anticipo rispetto all'uscita nelle sale
Pagina aggiornata il 27 ottobre 2018

Il film Bohemian Rhapsody ha avuto finalmente un’anteprima anche in Italia (insieme ad altri paesi europei più il Sudafrica) martedì 23 ottobre, grazie a UCI Cinemas e a 20th Century Fox. La proiezione è stata preceduta dal red carpet a Londra.


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​Dopo una decade di attesa in cui si sono susseguiti annunci vaghi, decisioni, cambiamenti, sospensioni e addirittura licenziamenti, il film biografico sui Queen è ora una realtà. Senza bisogno di essere dei soggetti ansiosi, è stato necessario sgranocchiare qualche snack per circa mezz’ora prima di capire che tutto stava accadendo per davvero. La sensazione era che da un momento all’altro, durante la giornata, potesse arrivare la notizia di un annullamento. E questo non per una promozione approssimativa, che anzi è stata covata per ormai tre mesi e culminata con l’inaugurazione della storica stradina londinese Carnaby Street completamente addobbata per i Queen e per il lancio del film, ma per quella sensazione che si prova quando qualcosa di troppo bello o inarrivabile si stia per materializzare (quasi) davanti agli occhi. Oppure l’esatto contrario, cioè un timore che il prodotto finito non fosse all’altezza di tanta aspettativa generata negli appassionati.
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Gli appassionati. A questa sera di grandi schermi collegati da quasi mezzo mondo, hanno preso parte nelle loro poltroncine cinefili e fan, e tra i fan stessi erano presenti sia i cultori della storia della band inglese che quelli soliti ad un semplice ascolto di quanto John, Freddie, Roger e Brian hanno inciso nei solchi dei vinili e fra i bit dei CD o degli MP3 nel corso di oltre 20 anni di carriera trascorsi insieme. E il risultato di questo assortimento tra il pubblico è propedeutico, come dirò più avanti, a trarre delle conclusioni abbastanza globali e oggettive di quanto è stato realizzato dal team prodotto da Graham King e la sua GK Films.
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Puntuale, dopo alcuni loop di un quarto d’ora che ha offerto in sala teaser, trailer, 'making of' durante le riprese e ascolto di musica, dopo due promemoria che indicavano 30 minuti all’inizio  e poi 15 minuti all’inizio, è iniziata la proiezione del red carpet da Londra. Il piazzale della Wembley Arena, con di fronte il mai non troppo maestoso Wembley Stadium (in confronto a quello che era la casa dei Queen e di Freddie), è stato teatro della classica passerella di VIP. Fra tutti, il primo ad essere inquadrato è Jim Beach, storico manager della band, seguito dagli attori principali e dalle leggende viventi Roger Taylor e Brian May. Il presentatore ha accolto sul palco Gwilym Lee (canzone preferita dei Queen: Don't Stop Me Now), Ben Hardy (White Queen), Lucy Boynton (We Are The Champions), Joe Mazzello (Somebody To Love), Rami Malek, Roger Taylor e Brian May, preceduti da Mike Myers (chi ricorda il film Fusi di Testa?).
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Il red carpet è stato trasmesso in differita, scelta motivata anche dall’opportunità di aggiungere i sottotitoli con la traduzione dei dialoghi. Poteva essere forse evitata, sia per la qualità del lavoro (per larghi tratti comico), sia per il ritardo nella visualizzazione. Qualcuno ha detto che erano fatti con Google Translate, ma la verità è che in quel modo sarebbero risultati quasi perfetti, ed invece... Dettagli che in conclusione rendono poco utile lo sforzo, a meno che per chi davvero non mastica per niente la lingua inglese. La regia ha comunque omesso di mostrare le fasi della cerimonia all’interno della Wembley Arena. 

Nel lasciarci distrare dal programma della cerimonia, quasi non ci accorgevamo di due grandi assenze: il regista Bryan Singer e John Deacon. Per il primo si può immaginare facilmente il motivo, dal momento che è stato licenziato dalla produzione lo scorso dicembre quando mancavano una ventina di giorni alla fine delle riprese.
Nel caso di John, invece, è stata solo l'ennesima conferma di un irreversibile addio alla scena pubblica. Ormai conduce una vita riservatissima da oltre 20 anni e solo un miracolo (nel quale peraltro tutti speravano) lo avrebbe potuto portare ad apparire sul red carpet insieme ai colleghi e agli attori e allo staff del film. Tra la schiera di presenti è stato comunque notato suo figlio Luke, mentre il più piccolo Cameron aveva espresso tutto il suo apprezzamento al trailer di Bohemian Rhapsody. Di sicuro, se mai loro padre andrà a vedere questo film lo farà come un signor qualunque, pregando uno ad uno tutti i Santi del calendario che nessuno lo riconosca.
Sul conto di Mary Austin invece c'è ben poca speranza di trovarla interessata al progetto. Lei è fino anche più inarrivabile di Deacon.

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Dopo una pausa di pochi minuti è iniziata la proiezione del film. Anzi, no: prima c’è stato un video messaggio in cui veniva raccomandato di spegnere qualsiasi telefono, tablet o altro aggeggio utile alla ripresa pirata di quanto visualizzato sullo schermo. Come se non fosse stato abbastanza convincente l’onesto addetto di sala che prima ancora del red carpet ha intimato di cancellare perfino degli innocenti selfie.
Dove eravamo rimasti? Inizia il film. La prima sorpresa che è possibile riportare in questa recensione, dal momento che venerdì 19 ottobre è stata già pubblicata la colonna sonora originale, è la fanfara che apre tutti i film della Fox, registrata da Roger Taylor e da un chirurgico Brian May tenendo rigorosamente fede a quella autentica e solitamente utilizzata.
Da questo punto in avanti non c’è molto altro che si possa raccontare rispetto a quella che è la pellicola. Si può solo dire quello che già è noto dalle sinossi pubblicate nei mesi scorsi, e cioè che la sceneggiatura ha come punto sia di inizio che di fine l’esibizione dei Queen al Live Aid, con l’intero film che viene proposto come una sorta di flashback sulla storia professionale di Freddie Mercury (intese anche le professioni diverse da cantautore e musicista) e dei Queen.
Durante la visione vengono date indicazioni sugli anni in cui hanno avuto luogo i fatti narrati. Questa scelta ha un senso pensando che ad un film fedelmente biografico, ma cade un po’ nel proprio stesso tranello di una narrazione che per forza di cose non può essere puntuale e fedele fino a questo punto alla vera storia. In Bohemian Rhapsody c’è spazio per una trama che porta il gruppo di giovani studenti inglesi “disadattati” (compreso un immigrato “paki”), per dettagli di tutto rispetto che a volte solo alcuni fan potranno apprezzare fino in fondo, ma anche per adattamenti cinematografici che portano i fatti reali ad essere collocati temporalmente in anni che non corrispondono a quelli che tutti conosciamo. Il problema è presto superato da una sceneggiatura davvero brillante e da una saggia gestione del ritmo dell’azione.
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Azione. A momenti Bohemian Rhapsody sembra (molto piacevolmente) un film di azione, tirato e incalzante, ma con le giuste fasi riflessive a conferma del manico di quel regista fuoriclasse, e in questo caso anche sceneggiaotre, che risponde al nome di Bryan Singer.
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Fasi riflessive. Qualsiasi film, così come la vita di tutti noi o più semplicemente una squadra di calcio, non può viaggiare sempre a 100. Nel caso di Bohemian Rhapsody c’è un ulteriore ragione: ogni tanto, se non altro, abbiamo avuto bisogno di un po’ di quiete per far asciugare il sudore dovuto alla inevitabile partecipazione alle canzoni, con il cuore e l’ugola, ma anche con dei mini-balletti (da seduti) che quelli del vero John Deacon sul palco ci fanno un baffo.

​

Baffo. Nell’iconografia generale, Freddie è quel tipo con atteggiamento da macho e il baffo autoritario. Dobbiamo concedere alla sceneggiatura almeno il secondo di questi stereotipi. Il Freddie maturo nel film non è quello di Innuendo né di The Miracle. Se è per questo, non è neppure quello del Magic Tour (che, stavolta fedelmente ai fatti reali, non viene rappresentato). Come per tanti altri aspetti altrimenti discutibili (leggasi ad esempio le solite critiche piovute per Fat Bottomed Girls nel 1974, Freddie con i baffi alla creazione di We Will Rock You o ancora Love Of My Life……… NO! Questo sarebbe uno spoiler), l’attenzione dello spettatore è rapita da ben altre fattezze. L’interpretazione di Rami Malek è da Oscar. Rami, sia con i baffi che senza, con la dovuta dose di riverenza, ha davvero riportato cinematograficamente in vita Freddie Mercury… e anche Freddie Bulsara. Espressioni facciali, movenze e perfino tratti del carattere vengono riproposti dall’attore di origini egiziane, il quale si trasforma letteralmente nel film rispetto alle proprie sembianze di tutti i giorni. A tratti sembra addirittura più alto della sua effettiva statura.
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Statura. Se c’è un interprete fra gli attori di Bohemian Rhapsody che riesce a sembrare davvero il personaggio reale (detto che Malek fa una grandissima figura senza tuttavia “copiare” fisicamente Freddie), questo è l’altissimo Gwilym Lee. Rami sarà pure da Oscar, ma Gwilym è da 10 e lode. La sua somiglianza con Brian May ha dell’incredibile, sia per quanto concerne l’aspetto fisico che per le movenze e la gestualità in tutte le scene del film.
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Movenze e gestualità. Già aiutato non poco da Madre Natura, con un viso che già di suo taglia letteralmente la testa al vero John Deacon, l’attore americano Joseph Mazzello riesce a colpire anche con l’interpretazione di “quello normale” della band. A momenti sembra addirittura di vedere nei suoi occhi le slot machine con i simboli “$ - $ - $” in movimento… senza pensare a male, tanto fa comodo averne uno in ogni famiglia... cosa che lo rende ancora più credibile nei panni del bassista che più degli altri compagni di gruppo era un po’ il ragioniere,  contabile e ─ chissà ─ quasi tesoriere dei Queen (a tal proposito ricordo l’aneddoto di quando in Sud America pagò con la carta di credito di Roger Taylor il viaggio di ritorno in Europa ad alcuni fan rimasti a verde, dicendogli di stare tranquilli visto che tanto il collega non se ne sarebbe mai accorto; e si badi che questo è un fatto reale, non di fiction!). Joe / John è presentato come nella realtà: distaccato ma determinato, sempliciotto ma non banale,  incantato ma dalla battuta pungente sempre pronta, dimostrazione di un’intelligenza di prima fascia. Ma resta sempre l’animo tranquillo della band, fra un cantante e artista eclettico, un chitarrista NERD e un batterista donnaiolo, giocherellone e irruente
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Donnaiolo, giocherellone ed a tratti irruente. Non basta un solo aggettivo per catalogare il personaggio di Roger Taylor, interpretato da Ben Hardy. Il biondo si cala nella parte in un modo eccezionale, specialmente sul punto che meno ci si può aspettare da uno che di professione non fa il musicista: in tutto il film non c’è una sola scena dal vivo in concerto o dentro le mura insonorizzate di uno studio di registrazione nella quale Ben possa essere colto in fallo. Suona la batteria, ops!… mima di suonare la batteria, con una precisione che in 50 anni Roger non ha mai dimostrato nei videoclip dei Queen. Davvero impressionante ─  anche se impressionante mi rendo conto che sia un termine un bel po’ inflazionato leggendo questa mia recensione (ma giuro che non è colpa mia!) ─ sia da percussionista degli Smile che poi con i Queen. La sua interpretazione al Live Aid è assolutamente all’altezza degli altri tre colleghi. Il donnaiolo biondo mantiene fede alla propria fama portandosi in disparte ogni bellezza in circolazione, compresa l’insospettabile e insospettata…. NO! Questa dovete scoprirla al cinema dal 29 novembre. Giocherellone e quasi sempre auto-ironico, si diverte in lungo e largo a prendere in giro chiunque in modo scanzonato. Ma la sua irruenza nei momenti di tensione lo porta ad essere anche l’unico nella pellicola che riesca a farsi mettere le mani addosso (e questo non è uno spoiler, visto che si nota in un trailer). A proposito: e se vi dicessi che siete andati a vedere un film con una comparsata di Adam Lambert??
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In generale, sotto l’aspetto tecnico, la musica non ha solo un ruolo centrale nel film, bensì anche visuale. Si vede che c’è la mano di una specialista di posture e movenze di primordine. Per credermi fino in fondo serve guardare il film fino in fondo, con l’ultima performance della pellicola che riesce ad aggiungere dettagli e valore anche alla vera esibizione stra-famosissima al Live Aid.
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Ma se c’è un aspetto che resta dentro lo spettatore, sì durante, ma soprattutto dopo la fine di Bohemian Rhapsody è quello dei valori. Nel film c’è, come detto, tanta azione e qualche momento di riflessione. Ma nel film vengono sempre messi affianco alla grande musica i valori universali dell’amicizia e della famiglia. Famiglia natia e famiglia lavorativa. Che fosse ancora un operaio con le mani troppo delicate, una aspirante rockstar o una leggenda affermata, Freddie tributa sempre il dovuto rispetto per i propri genitori, anche quando sembra che le sue scelte siano contrarie alle loro aspettative, salvo poi ripagare con monete d’oro tutta la fiducia che negli anni ha messo a dura prova. Di Freddie vengono presentati davvero tutti gli aspetti caratteristici, senza mai uno scimmiottamento o un verso fuori posto, senza esaltarlo quando eccelleva nè smontarlo nei momenti di difficoltà, debolezza e anche solitudine. Ma "chi non ha paura vive per sempre".
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Infine, viene data grande importanza al messaggio che l’unione vale più della somma dei singoli e che insieme tutto si può creare, tutto si può recuperare e tutto si può raggiungere ed essere i campioni.

​Ed anche tenere centomila persone nel palmo della mano… o con un pugno in alto che spacca il cielo.

Rami Malek ha registrato un videomessaggio ufficiale per i fan deli Queen dopo la presentazione mondiale di martedì scorso alla Wembley Arena:

«I fan dei Queen sono importantissimi per me. Sono molto emozionato che i fan più irriducibili potranno ora vedere il film. Io stesso sono diventato un fan accanito dei Queen.

​La cosa speciale di questo film è che si vede la maturazione della band, i cui membri provengono da percorsi di vita differenti e si uniscono per collaborare alle più belle canzoni che abbiamo mai sentito. Si può vedere la creazione di queste canzoni e anche la consacrazione della band sul palcoscenico. È il trionfo sulla tragedia, e la celebrazione della band e di Freddie.

Penso che tutto ciò di cui la gente ha bisogno siano due ore di trascorrere con una
bella serata al cinema.

Anche se ci siamo concessi delle licenze creative sulla sequenza temporale degli eventi e con alcune altre cose, l'abbiamo fatto per sfruttare nel migliore dei modi queste due ore a disposizione. Ci scusiamo per questo, ma sento che alla fine capirete il senso di quello che accaduto in quegli anni. Rock on!»

■ Leggi anche ...

​


     • Bohemian Rhapsody, il film ufficiale al cinema [2018]


     • La cronologia dell'intero progetto del film


     • Peter Freestone anticipa i dettagli del film in Olanda [Queendag 2018]


     • Bohemian Rhapsody - The Inside Story, il libro ufficiale del film [2018]


     • Peter Freestone intervistato a Roma da Comunità Queeniana, ospite dei ReQueen [2018]


     • Le ultime dichiarazioni del produttore Graham King [Inquisitr, 2018]


     • Brian May sull'avanzamento dei lavoro al film Bohemian Rhapsody [MSN, 2018]


     • Brian May e il curioso triangolo amoroso nel film Bohemian Rhapsody [Yahoo Music, 2017]
​

​
     • Bryan Singer licenziato dalla produzione [2017]
─ @claudiobadger
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